Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Terroristi di Rialto, nuove frasi choc su Fb
Nuove prove contro i terroristi di Rialto: «No, intercettazioni tradotte male»
VENEZIA «Taglierò la testa per Allah». Spuntano da Fb nuove frasi choc dei terroristi (in foto) a processo per il tentato colpo a Rialto.a
VENEZIA Tutti e tre hanno chiesto di poter essere processati con il rito abbreviato, in modo da ottenere, in caso di condanna, uno sconto di un terzo della pena. Ma, pur sapendo che non sarà facile, puntano a dimostrare che loro con l’Isis non c’entrano niente e sono pronti a giocarsi le proprie carte. Per questo i kosovari Arjan Babaj, Fisnik Bekaj e Dake Haziraj, a processo per associazione terroristica con l’accusa di aver voluto preparare un attentato a Venezia, hanno chiesto di essere sentiti nella prossima udienza di fronte al gup Massimo Vicinanza, che si terrà il 17 aprile. Non solo: i difensori di due di loro – gli avvocati Alessandro Compagno e Patrizia Lionetti per Haziraj e Stefano Pietrobon per Bekaj – hanno chiesto e ottenuto di poter depositare la trascrizione di alcune intercettazioni nell’appartamento di San Marco dove il gruppo si trovava, con una nuova traduzione o con una contestualizzazione più ampia.
«Ci sono delle sfumature interpretative che vanno vagliate meglio», spiega l’avvocato Compagno. Per esempio, tra le frasi incriminate, ci sarebbe quella in cui si diceva di tagliare la testa degli infedeli «come una cipolla». «Al mio cliente è stata contestata una frase in cui avrebbe detto che sarebbe partito di nuovo per la Siria, ma c’è stato un problema di traduzione», aggiunge Pietrobon. Tra l’altro Bekaj in Siria, dice il suo legale, non ci sarebbe mai stato, pur avendoci provato. L’avvocato di Babaj, Vittorio Platì, punta invece a ribaltare la tesi dell’accusa in punto di diritto. «Il problema è che si accusano di terrorismo delle persone solo per aver detto alcune frasi, ma non c’è alcuna prova che avessero i mezzi - spiega Inoltre con il terrorismo è stato stravolto il diritto: per far parte di un associazione bisogna essere riconosciuti da un capo, mentre qui è sufficiente l’adesione unilaterale. Sei dell’Isis, ma l’Isis non lo sa».
Ieri mattina l’udienza in aula bunker è durata un’oretta. I tre giovani, tutti con la barba lunga, sono arrivati dai carceri di Sassari e Rossano Calabro, detenuti ormai da quasi un anno. Fuori dalla porta, ad attendere, la sorella di Bekaj con il marito, arrivati apposta dalla Germania. In aula il pm Francesca Crupi, che con il procuratore capo dell’epoca Adelchi d’Ippolito aveva coordinato l’indagine di carabinieri (ieri c’era anche il comandante provinciale Claudio Lunardo) e polizia. In questi mesi, dopo l’arresto del 30 marzo 2017, le indagini sono proseguite e proprio nei giorni scorsi sono stati depositati ulteriori atti. In particolare un paio di testimonianze di persone vicine ai tre giovani – «vedrete che succederà qualcosa a Venezia» e «mi sa che dobbiamo mettere una bomba», avevano detto ad alcuni amici, che lo hanno riferito agli inquirenti – e poi l’esito della rogatoria negli Stati Uniti a Facebook, che ha «aperto» un profilo chiuso di Babaj.
Tra le foto di martiri e di idoli del jihad e la bandiera dell’Isis, spuntano anche alcune chat con Resim Kastrati, l’altro presunto terrorista a cui aveva inviato circa 2 mila euro. Babaj più volte spiega che i soldi servono per sostenere la «fratellanza musulmana», poi ci sono le solite frasi choc: «Verrà il tempo in cui Allah mi darà la possibilità di tagliare la testa con le mie mani» e «Allah renderà possibile incontrarsi sulla sua strada nei campi del jihad».
Gli avvocati Ci sono delle sfumature interpretative che vanno vagliate meglio. Accuse basate solo sulle parole, ma non avevano i mezzi
La chat con l’amico Allah renderà possibile incontrarsi sulla sua strada nei campi del jihad. Soldi per la fratellanza musulmana