Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
La strage dei ragazzi e il giallo delle foto sparite
Nel 2005 lo schianto: una causa civile e due verità su chi guidava
A13 anni dall’incidente avvenuto a Riese Pio X, costato la vita a tre ragazzi padovani, Mattia Tindaci, i fratelli Nicola e Vittorio De Leo, con una causa civile ancora in corso, è giallo su chi fosse alla guida dell’auto. Sparita la foto chiave della Polstrada.
PADOVA Dopo un primo grado penale e due gradi di processo civile per la durata complessiva di tredici anni, è ancora aperto il caso dell’incidente avvenuto il 5 aprile 2005 a Riese Pio X (Treviso), in cui morirono i padovani Mattia Tindaci, 18 anni, e i fratelli Nicola e Vittorio De Leo, 17 e 18 anni. Due i superstiti: Francesca Volpe, figlia di un magistrato veneziano, e l’amico Alessandro Faltinelli. Mattia, indicato come il ragazzo che quella notte era alla guida senza patente e con il foglio rosa, era figlio dei noti commercianti del centro, i De Leo erano figli di un affermato psichiatra. Belli, giovani, di buona famiglia, amici da sempre. Tutto cancellato.
Dopo un procedimento penale chiuso con il patteggiamento di Francesca Volpe, maggiorenne e patentata che cedette la guida della sua auto a un amico, c’è stato un processo di primo grado che ha stabilito i risarcimenti per la famiglia De Leo e i superstiti. Ma ora si stanno tenendo le udienze della causa civile di secondo grado. A chiedere un nuovo processo civile è stata la famiglia Tindaci, secondo la quale la verità su chi guidava quella notte non è ancora stata chiarita. Francesca disse di aver lasciato il volante a Mattia, mentre la prova del Dna sulla cintura di sicurezza esclude che il giovane Tindaci fosse alla guida. Lo stesso pm trevigiano durante le indagini penali non chiarì mai chi guidasse la macchina quella notte: chiunque fosse era morto. Ma la prova scientifica smentisce Francesca. Qual è dunque la verità?
Oltre al Dna spunta un mistero: le foto scattate dalla Polstrada ai ragazzi dentro l’auto subito dopo lo schianto, fondamentali per dirimere le controversie civili, sono sparite, anche se nessuno ha dato ordine di distruggerle. Solo ora il giudice della Corte d’Appello ha chiesto quelle foto alla Polstrada, ma non si trovano. Ne sono tante fatte tante quella notte, ma quelle che individuerebbero con certezza il conducente non ci sono più. Le vuole trovare il legale Vieri Tolomei, che rappresenta la famiglia Tindaci, deciso a restituire alla memoria di Mattia non un risarcimento materiale, quanto un tassello di verità a suo giudizio incontrovertibile: non c’era Mattia al volante dell’auto quella notte.La convinzione si basa su un accertamento compiuto nel 2006, quando durante l’inchiesta penale il pm conferì alla professoressa Luciana Caenazzo, dell’Istituto di medicina legale di Padova, l’incarico di studiare le tracce di sangue ritrovate sulla cintura di sicurezza del conducente. L’esito fu che quel Dna non era compatibile con quello dei Tindaci, quindi non guidava Mattia, diversamente da quanto disse l’imputata Francesca Volpe, che patteggiò 18 mesi. La discrepanza tra quanto dichiarato dalla superstite e quanto certificato dal medico legale non è stata mai considerata dai giudici.
Faltinelli disse di non ricordare nulla. Il patteggiamento divenne definitivo. Chiusa la partita del penale partì la causa civile per i risarcimenti. Nel 2013, durante l’istruttoria, un agente della Stradale che intervenne la notte della tragedia disse di aver scattato le foto ai ragazzi ancora nell’abitacolo. Tuttavia solo la famiglia Tindaci insiste per averle, presentando varie istanze, tutte respinte. Il primo grado di giudizio civile si chiude senza considerare le prove del Dna e senza le foto. Il giudice crede alla versione di Francesca. Ma i Tindaci, ricorrono in appello. Viene accolta la richiesta delle foto, ma la Polstrada dice che non ci sono più, perché i pc sono stati smembrati. Eppure si potrebbe eseguire una perizia, dice Tolomei. «La famiglia Tindaci si sta concentrando sul Dna e sulle foto, ma il primo grado ha confermato che c’era Mattia alla guida — spiega l’avvocato Lorenzo Locatelli, che rappresenta il papà di Francesca Volpe — è fantasioso pensare che si possa riaprire un caso».
Da una parte ci sono i genitori di Mattia, dall’altra ci sono i De Leo (avvocato Umberto De Luca di Verona), la famiglia Volpe (avvocato Ippolita Ghedini per la mamma e Lorenzo Locatelli per il papà), le assicurazioni Generali (legale Paolo Chersevani di Venezia) e i Faltinelli (avvocato Silvia Mainardi). Al centro una «prova regina» che chiede di essere ascoltata e il mistero delle foto, tutto da chiarire.