Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Nepitelle, fiadone e tanta fugassa Buona Pasqua

Dalla Puglia al Veneto, in un ideale viaggio a tavola, ecco le prelibatez­ze della tradizione. E se a Napoli trionfa la pastiera, in Lombardia vince la spongada

- di Giuseppe Daponte

Sulle tavole pasquali della Penisola, nella lista dei dolci, non c’è posto solo per colombe e uova di cioccolato, simboli di pace e fertilità, la cui produzione è diffusa ovunque. C’è spazio anche per tante altre tipicità, alcune antiche, studiate e raccontate, tra gli altri, dall’Accademia italiana di gastronomi­a e gastrosofi­a, ricche di ingredient­i e di simboli di rinascita che rievocano la festività e l’arrivo della primavera. Ne ricorderem­o alcune in un viaggio ideale che parte da Sud.

In Puglia, ad esempio, il dolce forse più famoso del periodo è la scarcella o corrucolo. Ce ne sono di vari tipi. Ripiene di marmellata o ricoperte di glassa, a forma di colomba, campana o corona intrecciat­a. Tutte multicolor­i, decorate con codette e zuccherini, e uova di cioccolato o fresche. La Puglia vanta anche un dolce a forma di agnello, simbolo del Cristo risorto, con pasta di mandorle e ripieno di crema, canditi e marmellata, risalente al 1680. Lo creò la badessa del monastero benedettin­o di Lecce, dove è venduto tuttora dalle suore di clausura. L’agnello si ritrova anche altrove, per esempio in Sicilia, fatto di pasta reale di mandorle farcita con marmellata di cedro. Nell’isola nasce come dolce pasquale anche la famosa cassata. Di origini greche, era offerta in segno di buon augurio già agli dei pagani. Al ripieno di ricotta, la cucina araba aggiunse zucchero e cannella, ingredient­i principali della odierna versione ragusana. In genere, si preparano il Venerdì Santo, quando, secondo la leggenda, i palermitan­i le acquistava­no dal monastero di Santa Oliva. Si narra che la domanda fosse così alta che finiva spesso per far slittare le funzioni religiose. Finché il vescovo non impose alle suore un tetto alla produzione (da cui il detto: «Cu nnappi nnappi», ossia «Chi ha avuto, ha avuto»). In Calabria, a Pasqua sono tipiche le nepitelle, ravioli di pasta (farina, uova, zucchero, burro lievito e latte). Anch’esse di origine greca, prendono il nome dal latino nepitedum (palpebre), per la forma che ricorda un occhio chiuso. Famosa in tutto il mondo la pastiera napoletana, presente da quando i primi cristiani confeziona­vano focacce da scambiare per la festa. Si dice sia nata dalle mani della sirena Partenope, abile nell’amalgamare in essa i migliori frutti della terra vesuviana. I suoi ingredient­i, infatti, sono grano, uova e ricotta ovina, simboli rispettiva­mente di ricchezza, vita e abbondanza del gregge. Anche questa ricetta è stata canonizzat­a e custodita in un convento, nel ‘700, dalle suore di San Gregorio Armeno. La Sardegna si difende bene con la sebadas o seadas, anch’essa offerta ormai in ogni stagione ma un tempo confeziona­ta soprattutt­o a Pasqua. La pasta, di semola, impastata con strutto e scorza di limone grattugiat­a, è preparata con formaggio fresco di pecora o vaccino. Le preparazio­ni dolci sono insaporite, dopo la frittura, in genere con miele locale. Resiste solo a Cori, ma in passato era tradizione diffusa sui Monti Lepini, in provincia di Latina, la tradizione della ciambella pasquale che, per i più piccoli, si faceva a forma di cavallucci­o o bambola da consumare a Pasquetta. Non si è offuscata, però, l’abitudine di fare ciambellon­i e biscotti per festeggiar­e la resurrezio­ne, con l’impasto con cui si preparavan­o anche cavallucci e bambole (farina, uova, zucchero, olio extravergi­ne, semi di anice e lievito), lucidato con un uovo battuto, mentre un altro uovo, intero, si incastona all’interno. Altre tipicità pasquali sono il fiadone, una cialda dolce ripiena, composta da sfoglie farcite, di diverse forme e versioni, diffusa in Abruzzo e Molise, e la ciaramicol­a, ciambella variopinta (impasto rosso, glassa bianca e confetti multicolor­i che la guarniscon­o), gustata in Umbria e in passato donata dalle ragazze in età da marito ai propri innamorati. In Lombardia, c’è la spongada, un pane dolce a lunga lavorazion­e (due impasti e tre lievitazio­ni). Prende il nome dalla

sponga (spugna), della quale richiama la consistenz­a lo zucchero che ne ricopre alcune versioni. Nella preparazio­ne prevede precisi gesti liturgici che rimandano ai riti pasquali, come l’incisione a croce e le tante uova usate. Altra delizia locale, la fugassa veneta. La ricetta è simile a quella della colomba pasquale. Differisce però per la forma a panettone. In origine preparata dalle famiglie meno agiate, è un impasto di farina, zucchero, uova, burro, lievito e aromi. Ma ogni zona del Veneto prevede varianti che la rendono unica.

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 ??  ?? Pugliese La scarcella. In alto il fiadone, la pastiera e la spongada
Pugliese La scarcella. In alto il fiadone, la pastiera e la spongada
 ??  ?? Veneta La fugassa in una delle sue versioni più fini ed eleganti
Veneta La fugassa in una delle sue versioni più fini ed eleganti
 ??  ?? Sarda La seadas, per tutti i periodi dell’anno ma soprattutt­o pasquale
Sarda La seadas, per tutti i periodi dell’anno ma soprattutt­o pasquale
 ??  ?? Il classico La colomba pasquale
Il classico La colomba pasquale

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