Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
In vaso o insaccato La magia del pestàt
A Fagagna (Udine), due produttori portano avanti la tradizione del lardo di maiale pestato con odori e verdure, dal 2006 divenuto presidio Slow Food
Si dice che «del maiale non si butta via niente» e a Fagagna (Udine), fin dai tempi antichi, i norcini e le famiglie contadine hanno tenuto fede al detto in un modo del tutto particolare. Hanno creato un insaccato, il pestàt, macinando lardo di maiale insieme a spezie e a verdure ed erbe come cipolla, sedano, carote, rosmarino, salvia, aglio, alloro. Oggi il lardo deriva da maiali allevati in Friuli e alimentati senza ogm, che si utilizzano per preparare il prosciutto di San Daniele, ma si sta cercando di recuperare il tradizionale «maiale nero di Fagagna», dalle carni molto gustose, il cui allevamento, a causa delle piccole dimensioni e scarsa resa della razza, era scomparso a fine anni ’70.
Prodotto da novembre a marzo quando si purcite (in friulano: si macella il maiale), il pestàt stagiona per almeno 30 giorni e diventa una riserva sempre pronta per preparare un soffritto adatto a insaporire salse, carni, frittate, primi piatti o la brovada.
Un preparato che sembra semplice, ma che richiede maestria per scegliere il lardo (di solito di schiena) e per selezionare e dosare le verdure e le spezie, al fine di ottenere un tesoro gastronomico che Slow Food nel 2006 ha inserito nei suoi presìdi, definendo un rigoroso disciplinare di produzione.
Un prodotto di gran qualità che sono in pochi a saper realizzare, tant’è che oggi sono solo due i produttori riconosciuti da Slow Food: il macellaio Mario Lizzi, con la sua attività in via Umberto I, il cui figlio gestisce l’attiguo ristorante «Al bàcar», e il ristorante (con annessa azienda agricola) Casale Cjanor in via Casali Lini, 9. Due produttori, che, con la loro passione, hanno fatto conoscere il pestàt anche fuori dai confini nazionali, al punto che la produzione non riesce a soddisfare tutte le richieste.
«Sono 50 anni – racconta Lizzi – che preparo il pestàt e imparai da un collega che già allora lo produceva da 30 anni. Allora si prendeva l’ultimo lardo del maiale che rimaneva alla fine delle lavorazioni successive alla macellazione e lo si tritava insieme alle erbe e alle verdure che si avevano a disposizione. La conservazione, al tempo, visto che le budella del maiale costavano, si faceva in vasetti di terracotta. Io, essendo macellaio e avendo budella a disposizione, sono stato fra i primi a insaccarlo e, così, abbiamo capito che era un prodotto adatto a essere stagionato e che in cantina poteva durare parecchi mesi. Personalmente sono legato a questa tradizione, che credo che sia quella che mantiene meglio sapori e profumi, e continuo a proporlo insaccato».
«Come tutti i prodotti tradizionali – spiega Carolina Missana, di Casali Cjanor -, anche il pestàt è nato dalla necessità e più o meno tutte le famiglie lo facevano per conservare le verdure a lungo. Poi la tradizione, con l’arrivo dei frigoriferi, è andata scomparendo. Nella nostra famiglia si è sempre fatto, salvo per un breve periodo, dopo il quale mio padre lo ha riscoperto, fino a quando nel 2006, il prodotto ha ottenuto il presidio Slow Food. Oggi lo proponiamo sia nella versione a salame o soppressa, sia pastorizzato in vasetti di vetro. E’ molto apprezzato sia da chi viene ad assaggiarlo da noi, sia da chi lo acquista nei mercatini. Di solito chi inizia a usarlo in cucina, non smette più».
E’ molto apprezzato sia da chi viene ad assaggiarlo da noi, sia da chi lo acquista nei mercatini. Chi inizia a usarlo non smette più