Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Bellini e Mantegna dialogo tra opere ricongiunte
I dipinti «gemelli» di due geni della pittura in mostra fino all’1 luglio a Venezia. Un intimo confronto tra artisti veneti nelle rispettive versioni di «Presentazione di Gesù al Tempio»
La Fondazione Querini Stampalia ci invita a un evento artistico di eccezionale valore: il ricongiungimento, o forse il primo incontro di due opere «sorelle», di due geni assoluti della pittura: Andrea Mantegna e Giovanni Bellini. La mostra da domani e fino all’ 1 luglio alla Querini Stampalia di Venezia, curata da Brigit Blass-Simmen, Neville Rowley e Giovanni C.F. Villa, con l’allestimento di Mario Botta, riunisce le due versioni simili eppure diverse della Presentazione di Gesù al Tempio, l’opera di Mantegna dalla Gemäldegalerie di Berlino, la tavola del Giambellino già di casa nella pinacoteca queriniana.
La eccezionalità del colloquio tra le due versioni sta certamente nella qualità eccelsa dei due dipinti, ma anche nel mistero delle loro storie e nella parentela che legava i due artisti veneti.
Mantegna (1431-1506) che esordiva a Padova nella affollata bottega dello Squarcione e traeva da Donatello, all’opera nella Basilica del Santo, l’imprinting scultoreo della sua prodigiosa pittura, aveva sposato Nicolosia, figlia di Jacopo Bellini e sorellastra di Giovanni (1438/40 – 1516).
Jacopo, già allievo di Gentile da Fabriano, con quel matrimonio sperava di irrobustire la sua bottega già forte dei figli Gentile e Giovanni, per sostenere la competizione con i tre Vivarini.
Mantegna andò invece più lontano, come si sa, ma questa stupenda opera in tempera su lino applicato su tavola è forse omaggio devoto al suocero.
Se, come afferma Villa, il «taglio» ravvicinato a mezzo busto delle figure nella Presentazione deriva da un disegno di Jacopo (conservato al Louvre) l’intimità della Madonna con il bambino in fasce e il tema stesso dell’episodio evangelico fanno supporre che il quadro sia nato per celebrare la nascita del primo figlio di Nicolosia e Andrea, raffigurati nelle figure laterali, essendo invece ipotizzabile che il San Giuseppe sia Jacopo stesso. Databile intorno al 1455/57, nel 1525 risulta nella collezione padovana di Pietro Bembo, poi passata ai Gradenigo. Solo nel 1803 l’opera di Mantegna prenderà la strada per la Prussia, per finire poi alla Gemäldegalerie di Berlino.
La storia della Presentazione di Giovanni Bellini è meno nitida: l’attribuzione, avanzata da Berenson nel 1916, è certa, anche grazie a spettrografie e analisi dettagliatissime che certificano lo stile maturo di Giovanni, quindi la datazione intorno al 1470.
Certo è anche che Giovanni rilevò con un cartone sull’opera di Mantegna il gruppo centrale dell’opera: i margini dei contorni e dello «spolvero» sono stati evidenziati; ma se è vero che la parte centrale è di dimensioni e impostazione identiche, molte sono le differenze tra i due capolavori in dialogo. La tavola belliniana è più lunga dell’altra per contenere altre due figure laterali forse Giovanni stesso e sua moglie.
I colori con legante in olio della pittura di Giovanni, sono molto più vivaci, rispetto alla tempera di Andrea, dominati dalle varianti del rosso, restando comunque il fondo scuro.
Ma ciò che distingue le due voci è senz’altro il timbro tonale della pittura di Bellini, qui già affidata ai sapientissimi incarnati, contrapposta alla scultoreità del pennello mantegnesco, capace di aprire tridimensionalità inimmaginabili, per non parlare della maestria nella imitazione dei tessuti, restituiti con una perizia filologica da tessitore.
Il percorso espositivo nella riallestita pinacoteca della Querini Stampalia, conduce alle due sale didattiche per affrontare nella concentrazione che necessita l’assorto, intimo dialogo tra le due meraviglie ricongiunte.