Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
I giudici chiedono il certificato medico ai profughi: è bufera
«Paura delle malattie». «É discriminazione»
VENEZIA Ricorsi dei profughi nelle aule giudiziarie. Il «Protocollo sezione immigrazione», sottoscritto dalla presidente del tribunale di Venezia e da quello dell’Ordine degli avvocati scatena una bufera politico-giudiziaria. Sotto accusa il punto 7 dell’accordo, secondo cui i difensori dei migranti devono presentarsi con certificato medico che escluda malattie degli assistiti. A schierarsi contro queste misure ritenute «discriminatorie» la corrente delle toghe Magistratura democratica, i Giuristi democratici, l’Asgi (l’associazione dei legali che si occupano di immigrazione). Il presidente degli avvo- cati che ha sottoscritto il protocollo: «Polemiche sterili e strumentali».
VENEZIA «I difensori, ove siano a conoscenza di malattie infettive del ricorrente (ad es. Tbc), sono tenuti a comunicare la circostanza al giudice prima dell’udienza e a richiedere al ricorrente la produzione di certificazione che attesti l’assenza di pericolo di contagio». Tre righe, quasi nascoste al punto 7, l’ultimo. Ma è proprio su questo punto, e non solo, del «Protocollo sezione immigrazione», firmato il 6 marzo scorso dalla presidente del tribunale di Venezia Manuela Farini e da quello dell’Ordine degli avvocati Paolo Maria Chersevani, che da un paio di giorni si è aperta una vera e propria bufera politico-giudiziaria: a schierarsi contro queste misure ritenute «discriminatorie» sono stati la corrente delle toghe Magistratura democratica, i Giuristi democratici, l’Asgi (l’associazione degli avvocati che si occupano di immigrazione) e una trentina di legali veneti specializzati, che hanno scritto a Farini e Chersevani.
Piccola premessa: come denunciato per l’ennesima volta nel corso dell’ultima inaugurazione dell’anno giudiziario, i ricorsi contro il rigetto della richiesta di protezione internazionale stanno letteralmente ingolfando il tribunale di Venezia. A fine 2017 risultavano pendenti circa 4 mila ricorsi e l’Ordine veneziano, che gestisce le domande di gratuito patrocinio (cioè praticamente tutte in questo settore), snocciolava le 2086 pratiche del 2015, le 4779 nel 2016 e le 7 mila nell’anno passato. Ecco dunque che da mesi si stava lavorando ad alcune cosiddette best practices per limitare l’impatto di questa particolare tipologia di ricorsi, dopo che la riforma Minni- ti della scorsa estate aveva già «salvato» la Corte d’appello, togliendo – anche allora tra le polemiche – la possibilità di appello. Ma la soluzione trovata – oltre a essere contestata nel metodo, visto che gli avvocati ne sono venuti a conoscenza solo una decina di giorni dopo e, a loro dire, «in maniera casuale» – ha scatenato un putiferio nel merito.
E non solo, appunto, per la questione sanitaria, già peraltro sollevata un anno fa dal sindacato Confsal-Unsa, che aveva espresso il timore del personale «visto lo stato di cura personale degli extra-comunitari visibilmente precario». «L’obbligo per l’avvocato di rivelare dati ultra sensibili relativi al suo cliente lede il diritto alla riservatezza e la dignità della parte - ha scritto il presidente di Magistratura democratica Riccardo De Vito – Nessuno penserebbe mai di chiedere simile certificazione medica alle parti di qualsiasi altro procedimento giudiziario, dimenticando che sono soggetti a stringenti controlli medici sia al loro arrivo che nei centri di accoglienza».
Contestatissimo anche il punto 6: «L’audizione del ricorrente verrà condotta esclusivamente dal giudice, senza l’intervento del difensore». «Una grave lesione del diritto di difesa che non trova alcun precedente né giustificazione nel codice di procedura - lamentano gli avvocati veneti - e in contrasto con le direttive europee». «Spesso le ragioni non sono facilmente “documentabili” ed ancor più spesso non in lingua italiana», aggiungono i Giuristi democratici. Inoltre il protocollo prevede anche dei limiti ai compensi per i ricorsi (800 euro in caso di successo, 600 in caso di sconfitta), la creazione di un albo per far turnare i legali, mentre se l’avvocato arriverà con più di dieci minuti di ritardo, quel tempo sarà tolto all’udienza. «Una sanzione processuale discriminatoria che esiste solo in questi giudizi», continuano i legali veneti, che chiedono la convocazione urgente di una riunione per rivedere il protocollo «realmente condiviso»: «Diversamente non accetteremo alcuna disposizione impositiva che possa compromettere il libero svolgimento della nostra professione o danneggiare la posizione dei nostri assistiti», è la conclusione. Chersevani, però, taglia corto: «Risponderemo a tempo debito, non facciamo polemiche sterili e strumentali replica - Il protocollo sarà pubblicato domani (oggi, ndr) sul sito, mi chiedo come stia già circolando».