Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Il jihadista si dissocia dall’Isis. Sconto di pena

Marco 23 anni, rodigino, tornato dalla Siria

- Di Andrea Priante

ROVIGO La faccia in primo piano nelle foto di guerra, senza sciarpa, senza paura. La stessa faccia che, all’ora dell’aperitivo, stasera sta sopra un foulard a fiori, in un bar del centro di Rovigo. «Non voglio nasconderm­i dietro una maschera. Sono quello che penso e quello che faccio», dice Marco di se stesso. Volto, pensiero ma niente cognome: «Per rispetto di mio padre, che è poliziotto, non lo scriva. Tanto qui mi conoscono tutti». Studente di storia antica, 23 anni, laurea lo scorso agosto, il 22 settembre ha lasciato Rovigo, casa e famiglia per la Siria. É diventato un combattent­e nell’Unità di protezione popolare, la milizia curda nota come YPG. Ha combattuto sette mesi nella zona di Afrin, città al nord della Siria caduta ieri mattina sotto l’attacco dei ribelli siriani, appoggiati dalla Turchia. Ora è qui, ma chi è Marco? Meglio: chi era prima e cos’è diventato?

«Sono laureato in storia antica. Ho praticato da sempre il karate e amo i libri, inutile dirlo» Quand’è tornato in Italia? «Un paio di giorni fa, in anonimato».

Il viaggio di ritorno com’è stato?

«Turbolento, parecchio incasinato. Non è semplice il trasferime­nto dalla Siria all’Iraq».

Cosa spinge un ragazzo di 23 anni, senza esperienze politiche, a scegliere di combattere con i curdi? La minaccia dell’Isis?

«In realtà non sono stato spinto a combattere l’Isis ma ero interessat­o al progetto di confederal­ismo democratic­o, poi dall’amore che ho sentito nei confronti di un altro popolo, dal poterlo difendere, quindi le motivazion­i politiche non sono secondarie ma sono di facciata. Mi hanno aiutato a decidere, però, in primis è stato l’amore nei confronti di un popolo che soffre ed è in pericolo».

Spieghi quest’idea del confederal­ismo democratic­o.

«E’ una forma di governo proposta da Öcalan (politico e rivoluzion­ario curdo, cittadino turco, leader del partito dei lavoratori del Kurdistan, il Pkk. Condannato a morte come terrorista nel 1999, ndr) che si rifà all’Atene di Pericle e al senso della democrazia perso con l’ingresso nella storia dello Stato-nazione. Öcalan parla di un progetto di municipali­tà sviluppato ad esempio in Vermont: sono comuni autogestit­i, ci sono le elezioni ma l’apporto dello Stato è minimo». Ha scelto di combattere, decisione estrema. La spieghi.

«Ho sempre avuto uno spirito combattivo. Ho sempre preferito la prassi combattiva, quella scelta da Che Guevara e da tutti i moti rivoluzion­ari che mettevano la guerra, comunque la conflittua­lità, in relazione al cambiament­o della realtà circostant­e. Non sto parlando di una guerra necessaria, sia chiaro. Questa è un’autodifesa. Come un rosa si protegge con le spine da un’aggression­e, sono andato in guerra ma per proteggere. Qui nessuno sta facendo un’apologia della violenza. Sono andato per difendere. I curdi si stanno difendendo, non stanno aggredendo nessuno».

Com’è la guerra?

«La guerra è oscena, fa schifo. Spero che nella vita nessuno debba vedere certe oscenità che la guerra comporta, però questa è la realtà che i curdi stanno vivendo e bisogna farla presente».

Com’è entrato nella milizia curda?

«Tramite contatti. Attraverso vie che preferisco non specificar­e sono arrivato in Siria».

Ha perso amici in questi mesi?

«Sì».

Com’è stato?

«All’inizio rimani distrutto. È difficile riuscire ad entrare nell’ottica di perdere una persona. Poi entra in gioco un meccanismo animale e ti dice che è guerra e i compagni li perdi perché stanno combattend­o lì per te e con te. Eravamo tutti sulla stessa barca, tutto

 Marco Non voglio nasconderm­i dietro alla maschera, sono quello che penso e quello che faccio

considerav­amo la possibilit­à (di morire, ndr), tutti lo sapevamo e tutti l’affrontava­mo con sorriso, pur nella paura».

Ha un fucile nelle foto. Ha ucciso?

«Posso dirti che ho sparato ma non posso dirti nient’altro».

Ci sono altri italiani, altri veneti in Siria?

«Ci sono altri italiani. Veneti no. Che io sappia nello YPG no».

Stati Uniti, Russia ed Europa sono stati spettatori della caduta di Afrin. Un pensiero su questo?

«C’era da aspettarse­lo. Era interesse di Stati Uniti e Russia non entrare in gioco fin dall’inizio.L’Europa non ha fatto nulla. L’Italia ha venduto i Cobra (un sistema di localizzaz­ione d’armi, ndr), la Germania i carri armati. Ci sono interessi che vanno al di là dei diritti dei popoli».»

Cos’ha visto negli ultimi giorni ad Afrin?

«Sono uscito qualche giorno prima della caduta. Non ho visto gli ultimi giorni d’infermo, però i civili hanno iniziato a scappare, per forza di cose. Le truppe dello YPG sono ancora lì e faranno guerriglia, continuera­nno gli attacchi. Afrin non è persa».

Pensa di tornare?

«Per adesso no».

Il Marco che è partito è lo tesso che è qui adesso o è cambiato?

«Certo, e mi sembrerebb­e impossibil­e non cambiare dopo un’esperienza del genere. Anche un giorno ti cambia la vita. Una parte di me è la stessa, sono sempre lo stesso pagliaccio di prima, ma alla fine sono le azioni che ti definiscon­o più che quello che hai dentro. Sono più quello che ho fatto. Quello che ho fatto mi ha reso quel che sono molto più del vecchio me».

Cosa farà ora?

«Ancora non lo so. Ho parecchi progetti in testa. Probabilme­nte la mia vita non entrerà nel meccanismo lavora, consuma, muori. Sarò... non lo so».

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 ??  ?? Al fronte Marco, il rodigino di 23 anni che ha combattuto in Siria al fianco delle milizie curde
Al fronte Marco, il rodigino di 23 anni che ha combattuto in Siria al fianco delle milizie curde

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