Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Il jihadista ripudia l’Isis: sconto di pena
Addestrò i foreign fighter bellunesi, i giudici d’Appello gli riconoscono l’attenuante della dissociazione
VENEZIA L’ex mujaheddin si è dissociato dall’Isis. Ha detto addio alla bandiera nera, si è rimangiato il giuramento al Califfato. Si è pentito, insomma. Al tal punto da decidere di collaborare con l’antiterrorismo di Venezia, fornendo un lungo elenco di combattenti dello Stato Islamico, fotografie, numeri di telefono e altre informazioni preziose, come il tragitto seguito dai foreign fighter per lasciare l’Europa e raggiungere la Siria.
Per i tagliagole, il macellaio sloveno Rok Zavbi è un traditore. Per la Giustizia italiana, invece, il suo allontanamento dalla causa estremista è sincero, e quindi va premiato con un anno in meno di carcere.
Ieri la corte d’appello di Venezia, riunita nell’aula bunker di Mestre, ha riconosciuto l’«attenuante della dissociazione» all’ex affiliato alla cellula jihadista che nel 2012, in provincia di Belluno, reclutò gli operai Munifer Karamaleski e Ismar Mesinovic. È la prima volta che un tribunale italiano alle prese con un processo per terrorismo di matrice islamica, assume una simile decisione: la condanna a tre anni e due mesi incassata da Zavbi un anno fa, scende quindi a due anni, due mesi e venti giorni. Conteggiando i (probabili) sconti per la buona condotta, significa che l’ormai ex terrorista sloveno tornerà libero entro l’autunno.
Confermata, invece, la condanna a quattro anni e otto mesi di Ajhan Veapi, il macedone che dal Friuli avrebbe messo in contatto i due immigrati bellunesi con Bilal Bosnic, l’imam del terrore che gridava «non ci fermeremo fino alla conquista del Vaticano». Il suo avvocato, Luca Bauccio, annuncia però l’intenzione di ricorrere in Cassazione.
Veapi, arrestato dai carabinieri del Ros a Mestre nel febbraio 2016, era considerato il braccio destro del predicatore, con il compito di organizzare gli incontri in moschea tra il «cattivo maestro» e i giovani musulmani italiani disposti a partire per l’Isis. Tra loro, anche Karamaleski e Mesinovic, che raggiunsero la Siria nel dicembre del 2013. Il primo è ancora lì, a combattere. Il suo amico invece è stato ucciso e da allora si sono perse le tracce del figlioletto Ismail, che aveva portato con sé.
Per addestrarli prima della partenza, l’imam Bosnic aveva spedito nel Bellunese proprio Zavbi, un reduce dal fronte siriano, che ai due aspiranti combattenti aveva mostrato una pistola, fornito consigli e racconti di guerra. Ricordi sanguinosi che oggi, a 28 anni, vorrebbe dimenticare. Nel corso di tre interrogatori sempre assistito dall’avvocato Samo Sanzin ha ripercorso la sua parabola di giovane cresciuto in una famiglia con problemi di alcolismo e depressione. Poi la conversione all’Islam, l’incontro con Bosnic che lo spinse a partire per la Siria nel luglio del 2013, «in un check point dell’Isis, ad Atarib, dove eravamo impiegati per dieci giorni con turni di 24 ore e successiva pausa di altre 24 ore». Un ruolo al quale alternava «la funzione di infermiere in giro per i territori occupati». Dopo 40 giorni in prima linea, il ritorno in Slovenia e quel viaggio a Belluno, sempre su richiesta dell’imam. Infine, il pentimento.
Al suo avvocato ha detto di essersi arruolato per aiutare il popolo siriano a sbarazzarsi di Assad. «Ma quando l’Isis ha compiuto attentati in altri Paesi, ho capito che non volevo più averci a che fare: non sono un terrorista». Zavbi ha tagliato ogni contatto con Bilal Bosnic e con le moschee clandestine che frequentava in Slovenia. Ha trovato lavoro, una fidanzata. Credeva di essersi lasciato l’esperienza jihadista alle spalle. Invece, nel maggio 2016 fu arrestato ed estradato in Italia per via di quell’incontro con i bellunesi di quasi tre anni prima.
«Sono felice», ha detto ieri dopo la lettura della sentenza che gli concede l’attenuante della dissociazione. Grazie alla decisione dei giudici, per lui la libertà è davvero vicina.