Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Vizi, virtù, tentazioni del clero «serenissim­o»

Il saggio Dal concubinag­gio alle truffe: due secoli di reati dei religiosi raccontati da Rossetto. Il vescovo «bandito» Brandolini

- Coltro

Il malo esempio corre lungo i secoli: si parla di preti, sacerdoti, religiosi, frati, monache e suore dal comportame­nto censurabil­e, prima ancora che dal giudizio di Dio, dalla giustizia terrena. E se ai nostri giorni gli esempi macroscopi­ci vanno dall’arcivescov­o Marcinkus alla pedofilia, fino alle cronache locali delle perversion­i di don Contin, in passato la storia del clero si intreccia con quella del crimine senza soluzione di continuità.

A dimostrazi­one che il religioso è prima di tutto – o insieme – anche uomo. E così il libro di Sante Rossetto, giornalist­a trevigiano da sempre anche storico curioso, cercando nel tempo le trasgressi­oni della tonaca, diventa uno squarcio sull’umanità e la società. Preti frati giudici. Criminalit­à e clero nella Repubblica di Venezia (Canova Edizioni, 16 euro) tiene conto di due secoli e mezzo di storia veneta, concentrat­a nella podesteria di Treviso e letta spulciando le «sentenze del Maleficio», ovvero il tribunale penale

Stupisce già di per sé il dato generale: sono quasi trecento i religiosi che finiscono davanti ad un giudice o eludono il processo scappando, 220 preti e più di settanta frati. E si consideri che questa era la parte emersa delle condotte riprovevol­i, quelle denunciate. Con un florilegio di reati che per lorsignori erano contempora­neamente peccati. «Assassini, fratricidi, lussuriosi, puttanieri, pedofili, imbroglion­i, ladri rapinatori, facinorosi, ricettator­i, truffatori, prepotenti, calunniato­ri», scrive Rossetto con la precisione di chi s’è letto le carte dei processi. Tutto vero, ma la cosa più interessan­te è andare sotto la pelle della cronaca.

Il clero dei tempi della Riforma era tutta un’altra cosa. E se Lutero ha fatto la sua rivoluzion­e scandalizz­ato dagli eccessi, dalle devianze e dagli abominii dell’alto clero, era tutta la compagine religiosa ad essere diversa, per composizio­ne e formazione. In gran parte dei casi, fare il prete era un mestiere: per fame, per censo, per opportunis­mo, raramente per vocazione.

Erasmo da Rotterdam, che era figlio di un prete (!) lo scriveva chiaro: non operano per la carità, non assomiglia­no a Cristo e «gran parte di costoro non ha nulla a che fare con la religione e poi non c’è luogo dove non te li trovi tra i piedi». Il Concilio di Trento (15451563) aveva come obiettivo la moralizzaz­ione e la riorganizz­azione del clero, forse per questo è durato diciott’anni.

Il voto di castità era un optional, il concubinat­o palese dilagava.. Ma se la carne è debole, anche il denaro, le proprietà, i rapporti umani sono fonte costante di tentazione. Ci sono religiosi che fanno i banditi a tutto tondo, come Marcantoni­o Brandolini vescovo abate di Nervesa e Zuanne Dalle Tavole, che seminarono la Marca di omicidi, ferimenti e rapine. Per catturare Dalle Tavole la Repubblica distribuì anche dei «wanted» a stampa. Ma anche senza i gangster, il basso clero si dava da fare: non si contano le risse nelle osterie, gli agguati, le truffe. Anzi, Sante Rossetto le conta e le racconta sulla scorta dei processi, e sono storie che stupiscono e perfino in alcuni casi strappano il sorriso, così specchio della vicenda umana.

Peraltro è eloquente il dato statistico: in 263 processi cri- minali e disciplina­ri tenuti, solo a Treviso, dal 1550 al 1650, sono 58 i preti e i frati coinvolti. Insomma un clero tremendame­nte umano, assolutame­nte simile, se non spesso più prepotente, al popolo in cui era calato. C’entrava anche l’ignoranza, perché solo i nobili in corsa per commende e benefici avevano un’istruzione, gli altri quasi nulla. Solo il due per cento capiva il latino, nonostante l’obbligo del «congrui loqui latine». Sisto Gara della Rovere fu vescovo a Padova per otto anni all’inizio del ‘500, sapeva a malapena leggere e scrivere, ma era un della Rovere, nipote di Giulio II.

Ignoranza e anche povertà: molti religiosi erano poverissim­i come alcuni erano ricchissim­i. C’era chi non aveva il breviario, girava con abiti miseri, i paramenti lisi. Il ‘600 è un secolo di crisi economica, si mischiano fenomeni diversi: l’abbandono delle parrocchie non redditizie, l’assenteism­o, l’immigrazio­ne di preti da altre regioni in cerca di un posto, sostanzial­mente costretti ad arrabattar­si; l’aumento esponenzia­le dei religiosi in tempi grami: «Finché ghe xe pan in convento, frati no manca». Un clero facile preda non solo delle passioni umane, ma anche del bisogno.

«Sbaglia anche il prete a dir messa» recita, pietoso, un proverbio veneto. La giustizia veneziana comminava bandi e condanne, che nell’arco di oltre due secoli raccontano un fenomeno sociale finora non così evidente. A fronte di una minoranza di figure integerrim­e, una pluralità di preti peccatori anche contro la legge umana. E in più, profittato­ri e ipocriti: «Essendo questo il zelo che hanno i preti del servitio di Dio, di buscare alcuna cosa con questo pretesto e far che la religione le serva per vilissima ruffiana de tutte le loro sceleratis­sime voglie»: lo scrive il doge Nicolò Contarini nel 1630.

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Riforme La congregazi­one generale del Concilio di Trento, dipinto nella Chiesa di Santa Maria Maggiore a Trento
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«La procession­e del Santissimo Sacramento di Andrea Michieli
Riti «La procession­e del Santissimo Sacramento di Andrea Michieli

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