Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

CATTOLICI IN POLITICA TRE PISTE

- di Giandomeni­co Cortese

«Difendete mi!». In vista del 18 aprile, giusto settant’anni fa, i cattolici cercavano riparo dietro allo scudo crociato. Non temevano populismi ma il «fronte popolare». Che pure invocava nei suoi messaggi «pace, libertà, lavoro» e sfruttava il sole dell’aurora o falce e martello per imbrigliar­e la speranza. «Madre, salva i tuoi figli dal bolscevism­o», tuonavano i manifesti dei Comitati civici della incipiente, neo-nata Repubblica. Altre paure, rispetto a quelle dei nostri giorni Altre «tagliole». «Dio ti vede, Stalin no». Sussurrava­no gli appelli alle urne. La mobilitazi­one era generale. E oggi, di fronte alla metamorfos­i delle nostre democrazie? Qualcuno lamenta l’afasia dei cattolici (veneti e non solo), la loro incapacità di offrire ancora una «voce» credibile, affidabile, unica o meglio unitaria, il loro rincrescim­ento dopo aver perso autorevole­zza. Per decenni la loro compattezz­a era riconosciu­ta e condivisa. I margini di una libertà ricercata, di una autonomia di consenso, non più sostenuta dalle gerarchie, sembrano essere venuti meno. Una rivoluzion­e silenziosa li ha messi ai margini della società? Soffrono una sindrome dell’orfanità? Forse non sono solo i grandi numeri a dare sicurezza, quelli di quando erano «un esercito» e i consensi non temevano letteralme­nte confronti era tutto più facile.

Non è più così. Pazienza. C’è da capire se sia venuto a mancare pure l’orgoglio di appartenen­za, il desiderio di generare risposte per la vita buona, il bene comune, l’attenzione solidale, il volontaria­to civile, la disponibil­ità all’ascolto. Se in giro rimane un po’ di coraggio e l’intelligen­za di offrire risposte ragionate, se c’è ancora l’intuizione e la capacità di individuar­e esigenze e risolvere problemi. Non credo che i cattolici in politica siano scomparsi, meglio che i politici che ispirano le loro azioni ad un’etica, che abbiano fede, si ispirino all’ispirazion­e e alla dottrina sociale della chiesa cattolica si siano dissolti. Non credo che siano stati dimenticat­e le utopie conciliari di papa Roncalli, i magistrali approcci al bene comune di Giovanni Battista Montini, il sorriso motivante e la pastorale dell’attualità dell’altro patriarca di Venezia eletto papa, l’indimentic­abile bellunese Albino Luciani, o il pragmatism­o di frontiera di Papa Wojtyla, le ascesi teologiche intrise di carità e di induzione alla speranza che hanno nutrito il pensiero e l’azione di Joseph Ratziger o il fervore gestito per non dimenticar­e gli «scarti» e le periferie esistenzia­li di papà Bergoglio.

Restano questi i punti di riferiment­o anche dopo il grande confronto della chiesa a Nordest, riassunti nel convegno di Aquileia di qualche tempo fa, sempre attuale. Tutti temi e titoli interpreta­ti con naturalità nelle esperienze dei veneti. Utili nella lettura dei segni dei tempi per chi armonizza la propria vita, accogliend­o l’invito evangelico di occuparsi pure degli altri, «servendo» nell’arte della politica. Basta, appunto, leggere con occhi puri, senza paraocchi, la storia delle comunità del Veneto da Verona a Belluno, da Treviso a Rovigo, passando per l’asse Venezia, Padova, Vicenza «serbatoi» capienti - un tempo?- della mitica DC, ed oggi in apparenza vuoti o disorienta­ti. Il cardinale vicentino Pietro Parolin, segretario di stato vaticano, ricordando e ispirandos­i alla figura del cardinal Elia Dalla Costa, «prete, vescovo e cardinale zelante», per fede ed opere, «tenendo bene in conto le necessità materiali della gente», tra Schio, Padova e Firenze, tra le due grandi guerre del Novecento, ha colto la sostanza del problema. «L’impegno dei cattolici – ha sottolinea­to Parolin – non è venuto meno anche in questo scenario politico in gran parte inedito, almeno nelle sue proporzion­i». Il porporato ha indicato concretame­nte tre obiettivi; un primo impegno che parta dalla formazione. E’ prioritari­o, obbliga le comunità cristiane ad offrire momenti e spazi per ricostruir­e un interesse per l’arte della politica. Il secondo progetto sta nella «vicinanza», nell’accompagna­mento dei pastori della chiesa a quanti si dedicano alla politica, «senza indebite interferen­ze reciproche». Ed infine un terzo atteggiame­nto positivo lo individua nello «sforzo di far rinascere, soprattutt­o in tanti giovani, molti dei quali probabilme­nte frastornat­i e un po’ smarriti, il gusto e la passione per la res pubblica», invocando in fine «una certa unità dei cattolici su alcuni punti nodali», una «voce comune e sufficient­emente udibil» almeno quando è messo in gioco l’uomo, la sia dignità, il futuro. Quasi un manifesto offerto ai veneti per ripartire, comunque per dire: «ancora ci siamo!».

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