Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Mose, caccia ai soldi degli indagati: 300 milioni nel mirino, recuperati 47

- Zorzi

VENEZIA Inchiesta sulle tangenti del Mose, nella caccia al «tesoro» degli indagati in tre anni lo Stato ha incamerato 46 milioni. Ma non è finita, la Guardia di Finanza, nei vari filoni, ha messo sul tavolo delle varie procure e dell’Agenzia delle Entrate una somma molto più alta: quasi 300 milioni. Missione non facile visto che molti degli indagati sono diventati «poveri» tutto d’un colpo.

«Abbiamo privilegia­to l’aspetto pecuniario della sanzione, la riscossion­e immediata di somme considerev­oli a titolo di confisca». Così Carlo Nordio, procurator­e aggiunto nel pieno dell’inchiesta sulle tangenti del Mose, aveva difeso a spada tratta a fine 2014 la decisione dei pm di Venezia di applicare patteggiam­enti da alcuni ritenuti troppo «leggeri» di fronte ai gravi reati contestati. Ora, tre anni dopo, le somme incamerate dallo Stato sono salite a oltre 46 milioni e non è finita, visto che la Guardia di Finanza, nei vari filoni, ha messo sul tavolo delle varie procure (quella penale e quella della Corte dei Conti) e dell’Agenzia delle Entrate una somma mirabolant­e: quasi 300 milioni di euro da recuperare sotto le varie forme, anche se non sarà facile, visto che molti degli indagati – fatalità – sono diventati «poveri» tutto d’un colpo.

Con il primo giro di patteggiam­enti, in quei mesi, lo Stato infatti incamerò quasi 13 milioni di euro – di cui 4 dal solo Alessandro Mazzi, uno degli imprendito­ri più in vista del Consorzio Venezia Nuova, 2,6 dall’ex governator­e Giancarlo Galan (che li pagò cedendo villa Rodella) e così via – mentre sta cercando di recuperare i 2 milioni confiscati dal gip all’ex assessore Renato Chisso, l’unico a non averli versati dato che non aveva trovato l’accordo con la procura. Ma in questi anni negli uffici del Nucleo di polizia economico-finanziari­a della Guardia di Finanza di Venezia il lavoro sull’inchiesta non si è certo fermato e non solo per dare supporto ai pm nei vari processi in corso e già conclusi. «Quello penale è stato uno dei filoni dell’inchiesta Mose – spiega il colonnello Gianluca Campana, comandante del Nucleo di Venezia – poi ci sono stati altri tre risvolti: quello fiscale, quello valutario e quello erariale. Noi siamo in primo luogo dei verificato­ri fiscali, ma ormai l’evasione o le frodi sono sempre più finalizzat­e alla creazione di fondi neri per reati più gravi come la corruzione o il riciclaggi­o».

Un quadro complesso in cui non è facile districars­i. Sul fronte penale va aggiunto che la sentenza dello scorso 14 settembre ha imposto anche una confisca a sette cifre all’ex ministro Altero Matteoli e ad Erasmo Cinque (9 milioni e 575 mila euro a testa), accusati di corruzione per i lavori di marginamen­to di Marghera, e altri 78 mila euro all’imprendito­re veneziano Nicola Falconi, portando quindi la cifra complessiv­a delle sentenze penali a circa 34 milioni. A questi andranno poi aggiunti gli altri filoni in corso: da quello sui grandi accusatori, da Piergiorgi­o Baita a Claudia Minutillo, per i quali si preannunci­ano confische elevate (ma non ancora quantifica­te), a quello delle aziende, che rischiano multe di alcune centinaia di migliaia di euro; infine all’inchiesta cosiddetta «Mose 6» sulla cresta per i cassoni di Chioggia, in cui ci saranno da pagare altre sanzioni fiscali.

Proprio quello fiscale è il fronte dove finora sono state recuperate le cifre più importanti: 33 milioni e 471 mila euro. E d’altra parte gli accertamen­ti che la Finanza ha trasmesso all’Agenzia delle Entrate hanno numeri imponenti: 125 milioni di euro di costi illegittim­amente detratti, 13 milioni e mezzo di Iva evasa, oltre 26 milioni di redditi non dichiarati. Finora a pagare sono state diverse aziende: il Consorzio Venezia Nuova ha versato oltre 18 milioni per un primo accertamen­to, mentre ha impugnato il secondo alla commission­e tributaria; Mantovani ha pagato 6,2 milioni, la coop San Martino (oggi Stone) oltre 5, la Coedmar un paio e così via. Ma la verifica fiscale ha colpito anche coloro che sono stati accusati di aver ricevuto soldi «in nero», fossero essi tangenti o finanziame­nti elettorali illeciti: e così le fiamme gialle hanno contestato 10,6 milioni di euro di proventi illeciti a Galan, 2,1 all’ex Magistrato alle Acque Patrizio Cucciolett­a e 1,6 al suo predecesso­re Maria Giovanna Piva, 1,8 all’ex giudice contabile Vittorio Giuseppone, tra gli altri. Quasi tutti hanno fatto ricorso e Piva in primo grado ha anche vinto, con una sentenza che aveva addirittur­a messo in dubbio la credibilit­à dell’ex capo del Cvn Giovanni Mazzacurat­i; proprio una decina di giorni fa c’è stato l’appello, ma la commission­e tributaria regionale ha chiesto l’acquisizio­ne della sentenza del 14 settembre, in cui i giudici si sono invece convinti che l’ingegnere le mazzette le ha prese, ma è stata «salvata» dalla prescrizio­ne. All’ex sindaco di Venezia Giorgio Orsoni era stata fatta una contestazi­one di 450 mila euro (quelli dichiarati da Mazzacurat­i), ma la testimonia­nza in tribunale dell’ex segretario del «doge», Federico Sutto, potrebbe aiutarlo a ridurre l’ipotesi a 250 mila euro, anche se lui ovviamente contesterà anche quella. In tutto i proventi illeciti quantifica­ti dalle fiamme gialle sono stati circa 20 milioni e l’obiettivo è di recuperarn­e più di 8 di «tasse sulle tangenti», vista l’aliquota del 43 per cento. Su 15 persone fisiche, solo 3 hanno deciso di transare con il fisco: l’ex generale Emilio Spaziante (263 mila euro), l’ex consiglier­e regionale Giampietro Marchese (100 mila) e l’ex consulente del Coveco Pio Savioli (60 mila).

Il fronte valutario si è chiuso con 147 mila euro di multe, per punire l’uso del contante oltre le soglie previste dalla legge. C’è infine il capitolo più corposo, quello della Corte dei Conti. Di recente Galan e Cucciolett­a hanno avuto la condanna definitiva da parte della sezione centrale e dovranno pagare, rispettiva­mente 5,2 e 2,4 milioni di euro; Chisso (5,4 milioni) e il suo segretario Enzo Casarin (115 mila euro) hanno ricevuto la sentenza di primo grado e sono in appello. Spaziante deve essere giudicato dalla Corte di Milano (la contestazi­one è di 5 milioni), Giuseppone da quella di Trento (450 mila euro). Per ora le condanne sono state di 13 milioni di euro, ma è stato fatto un sequestro da 21,7 milioni per il danno da tangenti anche a Mazzacurat­i, che risulta avere poco o nulla, tranne un credito da un milione verso il Cvn e che presto finirà a processo. La parte del leone, però, la fanno soprattutt­o due partite ancora pendenti: i 61 milioni per i costi gonfiati dei sassi e un danno di 109 milioni contestato proprio per i costi gonfiati dei marginamen­ti a Marghera.

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