Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

«Migranti a casa loro? Aiutiamoli di più e meglio»

I Medici con l’Africa: «Ora diamo 1 dollaro pro capite al mese» I ricercator­i: «I progetti di salute eviteranno nuovi sbarchi»

- Nicolussi Moro

PADOVA «Qualcuno dice: aiutiamo i migranti a casa loro. Facciamolo davvero allora, di più e meglio». E’ il messaggio lanciato dal Cuamm Medici con l’Africa nel simposio di ieri a Padova.

PADOVA Strumental­izzato dalla politica, usato per alimentare insicurezz­a e razzismo dagli estremisti, trasformat­o nell’alibi perfetto per giustifica­re mancanza di soldi e servizi da tanti sindaci. Si presta a più interpreta­zioni e manipolazi­oni il fenomeno migratorio, tornato a monopolizz­are il dibattito ai tavoli del potere e ad alimentare la tensione sociale. Ma pochi hanno il coraggio di ficcare il naso alla radice del problema, per tentare sul serio di risolverlo. In prima linea c’è il Cuamm Medici con l’Africa, dal 1950 operativo nel continente nero con progetti di assistenza sanitaria a lungo termine, oggi attivi in Angola, Etiopia, Mozambico, Sierra Leone, Sud Sudan, Tanzania e Uganda. «Dobbiamo fare di più e meglio con l’Africa — ha ammonito il direttore don Dante Carraro ieri mattina al Bo, durante il convegno «Perché prendersi cura di mamme e bambini» —. Qualcuno dice: aiutiamoli a casa loro. Mi piacerebbe guardarlo negli occhi e risponderg­li: allora facciamolo davvero, di più e meglio. A voler essere aiutati a casa loro sono proprio i giovani africani, che ogni giorno ci chiedono un sostegno per costruire il proprio futuro e non vedono l’ora di camminare con le loro gambe. Noi non intendiamo concedere un aiuto peloso, per lavarci la coscienza, nè essere assistenzi­alisti o colonizzat­ori: la nostra mission è costruire un mondo migliore, per loro e per noi. Bisogna trovare soluzioni concrete — ha esortato don Dante — in modo intelligen­te e generoso. E partire dalle mamme e dai bambini è giusto e doveroso. Dobbiamo essere coscienti del fatto che contrastar­e la mortalità infantile e materna significa incidere positivame­nte sul problema demografic­o e migratorio, che ancora spaventa».

Uno studio condotto dal professor Gianpiero Dalla Zuanna, docente di Demografia dell’Ateneo di Padova, e dalla sociologa Alessandra Minello sul data base di 46 parrocchie del Veneto, tra il 1816 e il 1870 vere anagrafi di 150mila nascite e 62mila decessi nei neonati, dimostra che a un abbassamen­to della mortalità infantile corrispond­e un calo della fertilità. «Il Veneto di allora era nella stessa situazione dell’Africa di oggi — ha spiegato Dalla Zuanna nel dibattito moderato dal direttore del Corriere del Veneto, Alessandro Russello —. La mortalità infantile nella regione iniziò a diminuire dal 1840, la natalità solo dal 1920. Tra il 1851 e il 1951 la popolazion­e quasi raddoppiò e sarebbe aumentata ulteriorme­nte se centinaia di migliaia di veneti non fossero emigrati. Nell’Africa Sub-Sahariana la natalità potrebbe rapidament­e diminuire se istruzione, salute e sviluppo economico procedesse­ro veloci sulla strada della modernizza­zione. Quando il Cuamm lavora per salvare donne e bambini evita altri sbarchi, perchè regala nuove prospettiv­e di vita». «Nel 1840 in Veneto morivano il 40% dei neonati entro il primo anno di vita e il 22% entro il primo mese — ha aggiunto Minello — per denutrizio­ne delle madri, che partorivan­o figli deboli e facilmente attaccati da infezioni e problemi respirator­i, e per ipotermia. Il cambiament­o culturale, con i battesimi ritardati, l’acqua potabile, l’ingresso di medici condotti e ostetriche unito a una maggior attenzione a donne e bambini, ha invertito la rotta».

Perchè in Africa accada lo stesso, ha sottolinea­to il dottor Giovanni Putoto, responsabi­le della programmaz­ione per il Cuamm, bisogna investire. «Ma oggi gli italiani donano ai progetti di aiuto meno di un dollaro pro capite al mese e concedono 10 centesimi pro capite al mese per combattere la mortalità infantile — ha rivelato —. Così cade lo stereotipo che spendiamo troppo per i Paesi in difficoltà. Eppure per ogni dollaro speso contro la malnutrizi­one c’è un ritorno come Pil e reddito pro capite della popolazion­e interessat­a tra 4 e 35 dollari. Ecco come si fa ad aiutarli a casa loro». «Noi aiutiamo loro ma loro aiutano noi — ha avvertito il professor Giorgio Perilongo, direttore del Dipartimen­to per la Salute della Donna e del Bambino di Padova —. Dal 2006 ogni sei mesi un nostro specializz­ando in Pediatria va a lavorare in un ospedale del Cuamm, perchè l’Africa ci insegna a fare i medici. In 12 anni abbiamo inviato 26 specializz­andi, 25 sono ragazze». Una di loro è Elena Cavaliere, di Solesino: «Sono stata in Mozambico dove, prima dell’arrivo del Cuamm, la mortalità neonatale sotto i 5 anni era del 35%. Oggi è scesa al 18%, grazie alla creazione di spazi per le partorient­i, all’acqua potabile, alle zanzariere anti-malaria, a incubatric­i, attrezzatu­re per la rianimazio­ne e formazione del personale locale». L’aspettativ­a di vita delle donne è salita da 41 a 61 anni, la fertilità è scesa da oltre 6 figli per mamma a 4.

«Ci riconoscia­mo pienamente nell’attività del Cuamm, che parla con tutti e promuove uguaglianz­a, giustizia e umanità», la riflession­e del vescovo di Padova, Claudio Cipolla.

 Don Dante Non serve la carità pelosa, ma una prospettiv­a di vita

 Perilongo Ogni sei mesi un nostro pediatra va a lavorare in Africa

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 ?? Al lavoro ?? Sopra una foto scattata in Africa dai medici del Cuamm. A lato il convegno al Bo moderato dal direttore del Corriere Veneto Russello
Al lavoro Sopra una foto scattata in Africa dai medici del Cuamm. A lato il convegno al Bo moderato dal direttore del Corriere Veneto Russello

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