Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Stabile bocciato Il cda scrive ai parlamentari «Sul Nordest scelta politica»
VENEZIA Mitiga appena l’indignazione con un sarcasmo tagliente Giampietro Beltotto, vice presidente del Teatro Stabile del Veneto: «Non possiamo e non vogliamo far polemica ma chiediamo trasparenza per capire come sono stati assegnati i punteggi dalla commissione. Perché è come avere un 3 in greco a fine anno quando nel primo semestre si è totalizzato un 7 e le interrogazioni del secondo semestre sono andate tutte bene, mia madre sarebbe andata a chiedere spiegazioni al preside». E per non sbagliare, mentre l’assessore regionale alla Cultura Cristiano Corazzari fa presente che il nuovo Parlamento dovrà esprimersi in merito, il cda dello Stabile prende carta e penna e scrive ai neo parlamentari.
Il declassamento dello Stabile da Teatro Nazionale a Teatro di rilevanza culturale non è andata proprio giù. Non ai vertici dello Stabile, non all’Agis del Triveneto, non all’assessore regionale alla Cultura, Cristiano Corazzari, non ai rappresentanti degli altri due soci dello Stabile, i Comuni di Padova e Venezia e sicuramente non ai lavoratori e alla gente di spettacolo, da Ottavia Piccolo a Paolo Giaretta, vice presidente dell’Orchestra del Veneto, passando da Pierluca Donin di Arteven, giusto per citare alcuni nomi dall’affollato parterre che, ieri, ha lanciato il proprio grido di dolore per le scelte romane. E chi non era presente come Marco Paolini o Michela Cescon, lascia nero su bianco la propria amarezza. Il Veneto schiera, fisicamente, l’artiglieria pesante.
Nell’intervista al Corriere del Veneto di ieri, Luca De Fusco, direttore fino al 2009 dello Stabile, lancia il suo j’accuse: i punti critici sarebbero le repliche passate al Goldoni di Venezia da cinque a quattro facendo così uscire lo Stabile dal circuito degli spettacoli importanti che richiedono un maggior numero di date. In più, secondo l’ex direttore, sarebbero troppe le coproduzioni e troppo poche le produzioni proprie. «Accettiamo sempre con piacere i consigli di Luca – risponde serafico l’attuale direttore Massimo Ongaro – ma temo non abbia a disposizione i dati aggiornati». E, infatti, lo Stabile risponde con i numeri: nel 2017 su 19 produzioni, 14 sono produzioni proprie fra cui il Giulio Cesare, il Deserto dei Tartari, Smith & Wesson, la Cattivissima, le Baruffe Chiozzotte, fra gli altri. Cinque sono state coproduzioni. E quanto alle repliche il ragionamento è: «Una compagnia viene ingaggiata per, poniamo, le 4 repliche del Goldoni e, la settimana successiva, le 5 del Verdi di Padova. Poi ci sono eccezioni come l’Elvira per cui Toni Servillo ha chiesto
Beltotto Vogliamo trasparenza per capire con che criteri ha operato la commissione del ministero. I conti non tornano, i nostri indicatori sono tutti positivi
e ottenuto dieci repliche tutte a Venezia in cui alcune serate saranno riservate agli abbonati padovani. E così si è ottenuta l’esclusiva per tutto il Triveneto».
Insomma, all’impietosa bocciatura proprio sul tema della qualità del cartellone di prosa, si reagisce mettendo in fila i numeri. Le produzioni e coproduzioni sono passate da 6 a 19 quindi un +217%, gli spettatori sono cresciuti del 42% ma, soprattutto, l’orgoglio veneto scintilla quando si parla di entrate proprie. «Da questa vicenda scaturisce inevitabilmente – attacca Corazzari - un sentimento di ribellione». La classifica dei ricavi dalle vendite vede in testa il Piccolo di Milano con quasi 7 milioni a fronte di 4,3 di contributo Mibact seguito a ruota proprio dallo Stabile con 4,8 milioni di ricavi contro 1,6 milioni di contributi statali e il timore è che il declassamento equivalga a una decurtazione di 400mila euro. In sintesi, il Piccolo copre le spese con la bigliettazione per il 33%, il Veneto, nettamente in testa, col 52%. E lo Stabile di Napoli, per dire, riconfermato Teatro Nazionale, solo per il 14%.
«Si può dequalificare un Teatro Stabile che dal 2014 al 2017 ha aumentato tutto? Dal numero di registi, attori e tecnici scritturati a quello degli spettatori? Incredibilmente sì. – attacca
Beltotto - Se i teatri sono aziende non possono prescindere dai numeri. Ma la Commissione consultiva ha lavorato sui numeri o su altro? Vogliamo trasparenza: per questo abbiamo fatto richiesta di accesso agli atti, per capire i motivi di questa decisione amministrativa, politica e istituzionale che danneggia tutto il teatro del Nordest». Torna la chiave di volta della sollevazione del teatro veneto: «declassamento politico». Così il cda scrive ai parlamentari cogliendo l’occasione anche per dire che se la penalizzazione subita è legata al divorzio con Verona, sarebbe una immotivata: «si dice che siamo stati retrocessi perché è fallita la fusione con un teatro privato, da noi fortemente voluta e da loro lacerata». E, intanto, si pensa a un allargamento ad altre realtà venete, dai teatri di Treviso e Rovigo. E anche a un parziale ritorno proprio su Verona: «Ho già proposto all’assessore alla Cultura – spiega Corazzari – una programmazione estiva comune». Quanto alla disfida con Roma, l’assessore scandisce: «Non lasceremo nulla di intentato e in casa nostra sta nascendo con un sostegno trasversale la legge quadro regionale sulla cultura e lo spettacolo».