Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
PERCHÉ NO A VENEZIA SEPARATA
Non sono sicuro che si terrà davvero, il referendum per l’istituzione di un Comune di Mestre separato dal Comune di Venezia. Rischia di essere invalido, in quanto promosso sulla base di una legge regionale (la 25/1992) precedente alla legge Del Rio (56/2014) che prevede una disciplina di indizione diversa. Tanto che il governo ha presentato ricorso alla Corte Costituzionale contro la delibera della Regione Veneto.
L’argomento è dirimente, per evitare costi inutili e infiniti ricorsi, ma la questione è interessante. È meglio un Comune o due Comuni? Bisognerebbe fare distinguo, ma si può considerare la futura Mestre come la terraferma e Venezia come la zona insulare e l’estuario (Murano, altre isole, Lido). Le due città formano dal 1926 un solo Comune, dopo che Venezia aveva già aggregato i territori dove si stava formando Porto Marghera.
La Venezia novecentesca, infatti, è acqua e terra. È nell’interesse di entrambe, o di una delle due, che si separino? In novant’anni, i rapporti di forza si sono rovesciati. La terraferma nel 1931 rappresentava con i suoi 33.000 abitanti meno di un sesto della popolazione insulare (che andava oltre i 200.000, 163.000 a Venezia e 35.000 nell’estuario); oggi è diventata più del doppio, e conta 180.000 abitanti mentre nella città storica ne stanno solo 55.000 e nell’estuario meno di 30.000.
Soprattutto, le due città sono profondamente cambiate. Per semplificare, Venezia si è arricchita, modernizzata. Ha recuperato il suo patrimonio edilizio (le case a Venezia, negli anni Cinquanta, costavano meno che a Mestre, in tempi in cui fogne efficienti ed ascensori facevano la differenza), resta meravigliosa ma sempre più si snatura e spopola, invasa dai turisti e svuotata di attività. Mestre, dopo una storia iniziale di esodo anche nostalgico da Venezia è presto diventata una città indipendente, normale, che ha cercato di costruire una propria identità, che sente di non essere ancora centrale.
È indubbio che le due città presentino numerose differenze, acuite dalla mancanza di continuità geografica (specie se si pensa di riempire i Pili, area importantissima, di altri palazzoni e palazzetti vuoti), ma è anche indubbio che abbiano un’identità comune, fatta dal condividere il territorio, tra pendolarismi lavorativi e affetti, squadre sportive e posti per fare shopping, teatri e uffici, né più né meno di altre grandi città. Cosa è più giusto per il bene di entrambe? Io sono contrario alla separazione. Non parlo di costi, anche se trovo naif il pensiero secondo cui sia possibile, in Italia, ridurli raddoppiando i Comuni.
Ci sarebbe, in caso di separazione, una grande complicazione sulla gestione dei confini e degli asset (porto, trasporti, Marghera). Ma il tema va ben oltre un necessario periodo di transizione, o la sorte dell’attuale sindaco. Il tema è il futuro di Venezia, inclusa Mestre.
C’è una questione di scala. Attualmente il Comune di Venezia resta il primo della Regione. Dopo la separazione, Mestre sarebbe il terzo dietro Padova e Verona. Venezia sarebbe dietro anche Vicenza e, probabilmente, presto, Treviso. Con questi numeri, è difficile pensare a un futuro di centralità, è probabile un futuro da periferia. Mestre non riuscirebbe a imporsi, diventando satellite di Padova, mentre oggi ha ancora chance di essere l’hub dirigenziale dell’Est. Venezia insulare, senza territori di sbocco dove progettare un futuro, la mancanza di alternative al turismo si farebbe ancor più drammatica, e l’espulsione di cittadini irreversibile.
Vanno bene le cose come stanno? No. Ma non è questa separazione la risposta. La risposta è doppia. Da una parte, promuovere una nuova Legge Speciale basata non tanto sui fondi ma, piuttosto, sulla concessione di una serie di competenze statali e regionali (non comunali) in materia di commercio, turismo, residenza, fiscalità che possano salvaguardare la specificità insulare. Dall’altra sfruttare la città metropolitana oggi silente e andare oltre, per un rilancio integrato, basato su Marghera, di un territorio che va da Venezia a Padova e Treviso, che guarda a Milano. Un territorio che non può prescindere da una Venezia viva, reale, indispensabile a tutto il Veneto policentrico per competere con il mondo, per diventare asse tra Est e Sud.
Smetterla una volta per tutte, insomma, con la retorica tristissima del piccolo è bello, della Venezia – Nizza, del Veneto – Lussemburgo, che perde le sue banche senza contare più nulla, per tornare a guardare al mondo, con fiducia, ottimismo, come fanno le nostre imprese.
Venezia può ancora farcela, per il bene di tutti, da undicesimo comune d’Italia. Non, da sessantesimo, con il potere contrattuale di chi sta in classifica tra Brindisi e Torre del Greco.