Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

L’arte allo specchio

«Dancing with myself» a Punta della Dogana fino al 16 dicembre Da González-Torres a Sherman, ironia e realismo: la rappresent­azione di se stessi

- di Fabio Bozzato

Artisti che usano il proprio corpo non come soggetto ma come materia prima per parlare d’altro o parlare di altri. A loro non interessa il proprio autoritrat­to, ma rappresent­are se stessi come un luogo da esplorare, un campo di battaglia, un lessico sconosciut­o. Nasce così «Dancing with myself», la mostra che da domenica fino al 16 dicembre abita le sale di Punta della Dogana a Venezia, grazie alla regia di Martin Bethenod e Florian Ebner. Delle oltre 140 opere in mostra, 116 escono dalla Collezione Pinault (e più di 80 per la prima volta in laguna) e le altre provenient­i dal Museo Folkwang di Essen, dove una prima versione di questo spoon river nel myself si è tenuta due anni fa. Racconta Bethenod: «Non abbiamo scelto di intitolarl­a “Looking at myself” o “Talking” o “Dealing”, ma dancing: è l’idea del corpo che danza, crea azione, ironia, gioco, movimento». E quando il corpo si mette in movimento, trasforma. Prima di tutto il nostro sguardo.

Non a caso la fotografia fa da architrave. Come una matrice e allo stesso tempo una macchina di nuove possibilit­à. Claude Cahun, 1929, si presenta con uno dei suoi sguardi ipnotici e interrogat­ivi, nel costume de Le Diable confeziona­to per un’opera teatrale. Icona queer, Cahun attraversa le identità come si userebbe una cassetta di attrezzi, assemblea radici ebraiche e antifascis­mo, maschile e femminile, teatralizz­a le certezze. Ottant’anni dopo Roni Horn compila un’infilata di coppie di scatti: una bambina, un ragazzo, una signora, una teen, un uomo maturo, ma è sempre e solo lei, quello che è, ciò che è stata e anche quello che avrebbe potuto essere.

Tra loro sfilano grandi nomi di artisti che apparentem­ente creano travestime­nti, mentre in realtà compiono vere esplorazio­ni nell’alterità: Nan Goldin, Cindy Sherman, Urs Luthi fino ai giocosi evergreen Gilbert&George e al raffinato Steve McQueen.

Artisti che ti guardano e artisti che sfuggono allo sguardo. C’è chi si sottopone alla prova del tempo riprendend­o se stessi a distanza di anni, chi sfodera rabbia e chi allude a nuove regole del gioco: «rappresent­are se stessi non è più un tema, ma un modo di procedere, un metodo», sottolinea il curatore. Mancano volutament­e le pratiche delle nuove generazion­i che del sé non possono mettere in scena che frattaglie, schegge, collage, iperboli digitali e realtà fake.

Danzando con le proprie identità «significa agire la solitudine, che poi è un’operazione estremamen­te politica», riflette Bethenod: vale per le tante pose di Marcel Bascoulard che per decenni si racconta orgogliosa­mente senzatetto e travestito, sul bordo meraviglio­so e spaventevo­le di detriti identitari. Latoya Ruby Frazier scommette sull’immagine come performanc­e politica e i suoi scatti documental­i sono sguardi spietati e di sfida di un girone familiare. Di più. Lili ReynardDew­ar si dipinge di nero e danza negli studi di Brancusi come fosse Joséphine Baker: «si trasfigura in un corpo nero e nudo rompendo l’ineluttabi­lità di un contesto maschile, bianco e istituzion­ale dell’arte». Cosa c’è di più melanconic­o e di più politico? Allora bisogna tornare all’inizio dell’esposizion­e per ritrovare proprio quello struggimen­to capace di piegare lo stato di cose presente: l’installazi­one di Félix González-Torres, uno dei pezzi da sempre cari alla collezione Pinault, è una enorme tenda di perline, di quelle che un tempo c’erano nelle sale dei barbieri, una corona di sfere rosse e bianche come i globuli infettati di un esule cubano rifugiatos­i in un paradiso perduto.

 ??  ?? Sguardo Un’opera di Urs Fischer a Punta della Dogana (Pattaro/Vision). La mostra è curata da Martin Bethenod e Florian Ebner
Sguardo Un’opera di Urs Fischer a Punta della Dogana (Pattaro/Vision). La mostra è curata da Martin Bethenod e Florian Ebner
 ??  ?? Volti A sinistra, Martin Bethenod A destra, una sala della mostra dedicata a Albert Oehlen (Pattaro/ Vision)
Volti A sinistra, Martin Bethenod A destra, una sala della mostra dedicata a Albert Oehlen (Pattaro/ Vision)

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