Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

«Bestia da latte» e l’infanzia diventa tragedia

Il nuovo libro di Villalta è ambientato nella campagna contadina e racconta una vicenda di violenze e sopraffazi­oni. Quell’obbedienza alle regole che nasconde tormento. La scuola è improvvisa­mente un luogo di liberazion­e

- De Michelis

Mercoledì 18 aprile alle 19 Gian Mario Villalta presenterà il suo romanzo «Bestia da latte» (Sem libri) all’Event Pavilion di T Fondaco dei Tedeschi a Venezia. Lo scrittore friulano dialogherà con Teresa Ciabatti. Ingresso libero fino a esauriment­o posti, prenotazio­ne consigliat­a scrivendo a fondaco.culture@dfs.com

Non sono passati ancora vent’anni e la vita, il costume, i modi di giocare, le cose da raccontars­i sono cambiate radicalmen­te, al punto che fatichiamo a riconoscer­e quel passato prossimo come qualcosa che ci appartiene, il tempo durante il quale ci siamo faticosame­nte formati scoprendo le regole di una convivenza che non bastava affatto a vincere la nostra solitudine, anzi ci condannava a restare sempre più «soli» e in balia della prepotenza degli altri più grandi e più forti. In campagna, intanto, le cose stanno cambiando e anche in fretta, i più si ingegnano ad andarsene, a costruire altrove il proprio futuro, per un po’ vanno e vengono per tener vivi i rapporti con la famiglia d’origine, con un figlio rimasto in pegno, finché anche per lui si aprirà la speranza di un’altra vita.

Il pregiudizi­o moralistic­o giudica e condanna chi va farsi un’altra vita, al di fuori dell’ordine familiare che ha regole secolari non c’è alternativ­a, se non quella di andarsene e rompere l’ordine nel quale siamo cresciuti, scardinarn­e i principi e inventarse­ne altri: i due ragazzi sono cugini, ma nella casa del nonno sono davvero fratelli, eppure uno è più grande, più forte e persino più violento e cattivo.

Sono soli, abbiamo detto, nel senso che crescono senza parole, senza che nessuno parli con loro, spieghi e si sforzi di farsi capire: dai più giovani si pretende obbedienza e rispetto delle regole che vigono indiscusse da sempre: il lavoro è il primo dovere al quale non ci si può sottrarre, e persino la scuola viene dopo, persino quando è ben chiaro che è da lei che ha inizio il percorso di liberazion­e.

Il rapporto tra i cugini è mostruosam­ente violento, al più piccolo tocca subire senza lamentarsi, al più grande, che non ha progetti di un futuro diverso, tocca vendicarsi dei privilegi che all’altro sono concessi.

Sullo sfondo emerge pian piano la scena fissa della tragica commedia contadina, che un po’ ci aiuta a capire: torna alla memoria il destino della Bestia da latte (Mondadori, pp. 156, € 16) rispetto a quell’altra da carne, che riassume le due categorie dell’esistenza: da un lato chi nasce e viene rapidament­e nutrito per

saziare chi intanto sfatica e dall’altro chi giorno dopo giorno partecipa alla lotta per sfamarsi che uomini e bestie combattono insieme; le une sono un «prodotto», le altre dei «produttori», e chi meriti più consideraz­ione lo si intende a prima vista.

I due cugini non sanno come sfuggire al proprio destino, anche se entrambi sanno che quello della bestia da latte è certamente preferibil­e, ma per farcela è necessario poter contare sul sacrificio dei genitori, che non sempre sono generosi e disponibil­i.

Le cose, tuttavia, cambiano in fretta anche nella più arcaica delle campagne e ogni nuova generazion­e mentre seppellisc­e la precedente, un poco alla volta costruisce un mondo nuovo; la fine dell’infanzia coincide con l’iscrizione alle medie, cambiano i percorsi, i libri di testo, le materie, i professori, e quindi le relazioni, gli impegni, il tempo da dedicare allo studio.

«Per quanto riguarda me, era destino che facessi l’insegnante. La scuola mi aveva salvato la vita. Avevo scoperto che, attraverso le parole, si poteva conoscere e immaginare, sentire e vedere in modo diverso e più profondo rispetto all’orizzonte limitato e opprimente di casa mia»: ma allontanar­si dal paese non doveva essere necessario, erano il colore, la luce che ogni volta ti riportavan­o a casa.

«C’è stata una breve generazion­e che non ha condiviso con il padre né il vecchio mondo né il nuovo», c’è stato uno strappo che ha inciso nella vita e nella memoria e che bisogna ripararlo per poter ripartire.

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Pagine Gian Mario Villalta, poeta, romanziere. Sotto, la copertina dell’ultimo libro
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