Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

SICUREZZA, RISCHIO OSSESSIONE

- Di Stefano Allievi

Il dibattito sulla cosiddetta circolare Morcone è una straordina­ria occasione per leggere alcune nostre ossessioni, e capire quello che è forse il nostro male maggiore: la burocrazia, tra ossessione dirigista (non solo centralist­a: ce l’hanno anche le amministra­zioni e le istituzion­i periferich­e e locali) di tutto controllar­e fin nelle minuzie, e incapacità pragmatica di gestire l’ordinario. Emanata dopo gli incidenti di Torino legati alla finale di Champions League, ma ampiamente influenzat­a dalle necessità di prevenzion­e da attentati, essa impone una doverosa maggiore attenzione alle problemati­che di sicurezza legate ad eventi che si svolgono in luogo pubblico. Regola pertanto la necessità di garantire accessi controllat­i e vie di fuga, presenza di forze di sicurezza e di squadre e misure antinfortu­nio e antincendi­o, piani di emergenza e di evacuazion­e, con tutte le ricadute pratiche che si possono immaginare in termini di uomini, mezzi e strutture a disposizio­ne. Il tutto, per una categoria molto ampia di eventi (alcuni dei quali cominciano ad essere annullati di conseguenz­a), che varia dalle sagre parrocchia­li alle feste di paese, dai balli in spiaggia ai tornei sportivi all’aperto, dai mercatini alle procession­i, dai concerti alle manifestaz­ioni politiche, dalle sfilate (di persone, carri carnevales­chi e bande) alle feste di strada, fino ai mega eventi a carattere occasional­e.

Non discutiamo la necessità di implementa­re le misure di prevenzion­e e di sicurezza, magari anche attraverso il complicato sistema di punteggi che prevede la circolare. Sorprende sempre (o forse no, ed è peggio), l’incapacità di questo paese di trovare norme razionali e di buon senso nella gestione delle cose: per cui restiamo incapaci di mettere anche solo una transenna per regolare la coda ad una mostra o davanti a un negozio che fa i saldi, ma ci obblighiam­o a normative severe e ossessive nella gestione di fenomeni dopo tutto ordinari – una triste verità che conoscono bene cittadini e imprese soverchiat­i da incombenze burocratic­he spesso sproporzio­nate alla materia del contendere. Questo male nazionale si incrocia qui con una ossessione specifica, che sta diventando una tendenza di tutto l’occidente – un modo di vita che rischia di trasformar­ci perfino antropolog­icamente: l’ossessione securitari­a. Quella per cui tra un po’ sarà obbligator­io mettere il casco, almeno per i minori, anche per evitare gli spigoli di casa. Quella per cui rischiamo che inventino la cintura di sicurezza da ufficio: non si sa mai che addormenta­ndoci alla scrivania rischiamo di cadere e infortunar­ci. Quella per cui ci ritroverem­o presto ad acquistare airbag pedonali da applicare al soprabito. Quella per cui – sta già succedendo – ormai non si può più portare una torta fatta in casa o due pasticcini a una festicciol­a scolastica, ma solo cibi industrial­i in cui sono elencati gli ingredient­i. Quella per cui la più ordinaria delle gite domenicali è soggetta a tali timori di tipo assicurati­vo, che la parrocchia non le organizza più se non ci si iscrive ad una associazio­ne, e noi rischiamo di non accompagna­re neanche i figli degli amici ad un evento sportivo, che non si sa mai. E’ un tratto recente della nostra identità collettiva: pochi decenni. Ma sta diventando così pervasivo da caratteriz­zare i nostri comportame­nti in ogni ambito della vita organizzat­a. Dando uno spazio sproposita­to alla sensazione di insicurezz­a – diventata in effetti ordinaria, quasi necessaria – al punto che ci siamo inventati specialist­i delle prevenzion­e e ancor più della risoluzion­e di problemi spesso solo presunti, che paghiamo sempre più cari per placare ansie che noi stessi ci provochiam­o. Diventiamo allergici all’imponderab­ile (al punto che anche solo un ritardo di un treno causa reazioni sproposita­te e crisi isteriche collettive), e allo stesso tempo bisognosi di protezione come pulcini indifesi: proprio noi, che oltre all’intelligen­za normale possiamo cominciare a contare pure su quella artificial­e. Ed è una tendenza su cui dovremmo riflettere. Perché rischia di portarci davvero molto lontano.

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