Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
SICUREZZA, RISCHIO OSSESSIONE
Il dibattito sulla cosiddetta circolare Morcone è una straordinaria occasione per leggere alcune nostre ossessioni, e capire quello che è forse il nostro male maggiore: la burocrazia, tra ossessione dirigista (non solo centralista: ce l’hanno anche le amministrazioni e le istituzioni periferiche e locali) di tutto controllare fin nelle minuzie, e incapacità pragmatica di gestire l’ordinario. Emanata dopo gli incidenti di Torino legati alla finale di Champions League, ma ampiamente influenzata dalle necessità di prevenzione da attentati, essa impone una doverosa maggiore attenzione alle problematiche di sicurezza legate ad eventi che si svolgono in luogo pubblico. Regola pertanto la necessità di garantire accessi controllati e vie di fuga, presenza di forze di sicurezza e di squadre e misure antinfortunio e antincendio, piani di emergenza e di evacuazione, con tutte le ricadute pratiche che si possono immaginare in termini di uomini, mezzi e strutture a disposizione. Il tutto, per una categoria molto ampia di eventi (alcuni dei quali cominciano ad essere annullati di conseguenza), che varia dalle sagre parrocchiali alle feste di paese, dai balli in spiaggia ai tornei sportivi all’aperto, dai mercatini alle processioni, dai concerti alle manifestazioni politiche, dalle sfilate (di persone, carri carnevaleschi e bande) alle feste di strada, fino ai mega eventi a carattere occasionale.
Non discutiamo la necessità di implementare le misure di prevenzione e di sicurezza, magari anche attraverso il complicato sistema di punteggi che prevede la circolare. Sorprende sempre (o forse no, ed è peggio), l’incapacità di questo paese di trovare norme razionali e di buon senso nella gestione delle cose: per cui restiamo incapaci di mettere anche solo una transenna per regolare la coda ad una mostra o davanti a un negozio che fa i saldi, ma ci obblighiamo a normative severe e ossessive nella gestione di fenomeni dopo tutto ordinari – una triste verità che conoscono bene cittadini e imprese soverchiati da incombenze burocratiche spesso sproporzionate alla materia del contendere. Questo male nazionale si incrocia qui con una ossessione specifica, che sta diventando una tendenza di tutto l’occidente – un modo di vita che rischia di trasformarci perfino antropologicamente: l’ossessione securitaria. Quella per cui tra un po’ sarà obbligatorio mettere il casco, almeno per i minori, anche per evitare gli spigoli di casa. Quella per cui rischiamo che inventino la cintura di sicurezza da ufficio: non si sa mai che addormentandoci alla scrivania rischiamo di cadere e infortunarci. Quella per cui ci ritroveremo presto ad acquistare airbag pedonali da applicare al soprabito. Quella per cui – sta già succedendo – ormai non si può più portare una torta fatta in casa o due pasticcini a una festicciola scolastica, ma solo cibi industriali in cui sono elencati gli ingredienti. Quella per cui la più ordinaria delle gite domenicali è soggetta a tali timori di tipo assicurativo, che la parrocchia non le organizza più se non ci si iscrive ad una associazione, e noi rischiamo di non accompagnare neanche i figli degli amici ad un evento sportivo, che non si sa mai. E’ un tratto recente della nostra identità collettiva: pochi decenni. Ma sta diventando così pervasivo da caratterizzare i nostri comportamenti in ogni ambito della vita organizzata. Dando uno spazio spropositato alla sensazione di insicurezza – diventata in effetti ordinaria, quasi necessaria – al punto che ci siamo inventati specialisti delle prevenzione e ancor più della risoluzione di problemi spesso solo presunti, che paghiamo sempre più cari per placare ansie che noi stessi ci provochiamo. Diventiamo allergici all’imponderabile (al punto che anche solo un ritardo di un treno causa reazioni spropositate e crisi isteriche collettive), e allo stesso tempo bisognosi di protezione come pulcini indifesi: proprio noi, che oltre all’intelligenza normale possiamo cominciare a contare pure su quella artificiale. Ed è una tendenza su cui dovremmo riflettere. Perché rischia di portarci davvero molto lontano.