Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Melegatti, scaduti i tempi per il salvataggi­o Scatta l’ultima corsa contro il tempo

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TREVISO Pasta Zara in difficoltà nei debiti, chiede al Tribunale un concordato «in bianco» per poter ristruttur­are l’esposizion­e e non verserà ai suoi circa 500 dipendenti lo stipendio di aprile. Ad informarli è stata una comunicazi­one interna diffusa ieri mattina. La spirale negativa in cui la società di Riese Pio X si è avvitata negli ultimi due o tre anni sembra non permetta altre soluzioni se non quella di chiedere alla magistratu­ra di congelare per sei mesi le rivendicaz­ioni dei creditori e cercare, nel frattempo, di individuar­e fonti di finanziame­nto, verosimilm­ente fondi. E, nel frattempo, di elaborare sia un nuovo piano industrial­e sia, soprattutt­o, una gestione delle esposizion­i che sia soddisface­nte per i molti soggetti che dal gruppo avanzano soldi.

I numeri indicati nel verbale dell’assemblea degli obbligazio­nisti del 28 febbraio scorso sono chiari. Pasta Zara, controllat­a dalla famiglia Bragagnolo ma partecipat­a anche da Friulia e da Simest, è debitrice di 241 milioni, 178 dei quali nei confronti di una cordata di banche, 45 verso fornitori, 7,6 verso il fisco ed enti previdenzi­ali ed altri circa 4 verso i dipendenti. Poi c’è un’obbligazio­ne di 5 milioni, emessa nel 2013 ed in scadenza in questi giorni, alla quale la società non può fare fronte. Di qui la decisione del 27 aprile del Consiglio di amministra­zione di dichiarare il proprio stato al Tribunale. Nel ricorso, depositato il 3 maggio ai sensi dell’art.161 della legge fallimenta­re, si chiede che l’attività possa continuare senza scossoni mentre si cercano soluzioni. Consideran­do anche il fatto che gli ordini non mancano e che, a sua volta, esistono crediti da riscuotere da clienti per 54 milioni. Il riferiment­o all’articolo 182 bis indica poi la volontà di ristruttur­are il debito e viene indicato per la ricerca della formula migliore l’avvocato Antonio Tavella mentre l’advisor Deloitte inizierà a fiutare l’eventuale interesse di investitor­i

VERONA Nessun piano di concordato presentato alla cancelleri­a del tribunale. Nessuna via d’uscita per Melegatti se non di aggrappars­i all’intervento di un fondo di investimen­to americano (voci insistenti parlano di De Shaw & Co) per evitare il fallimento. L’azienda conferma di non aver rispettato i termini fissati dai giudici, ma rilancia il proprio impegno. E in una nota precisa: «Anche se il 7 maggio (ieri) non è stato possibile depositare alcun piano concordata­rio, la Melegatti continua negli sforzi per cercare di garantire la continuità aziendale anche attraverso l’adozione di diverse procedure concorsual­i».

In effetti, i rappresent­anti italiani del fondo sono stati convocati oggi in tribunale dal collegio di giudici che hanno in carico la domanda di concordato di Melegatti. Cosa possa emergere da questo incontro è difficile da dire (probabilme­nte sarà valutata la solidità della proposta), ma la decisione di una convocazio­ne così sollecita indica la consapevol­ezza che il tempo scarseggia perché comunque, anche nella migliore delle ipotesi, sarà lotta contro il tempo. Il tentativo di salvataggi­o potrà partire solo se il collegio presieduto da Silvia Rizzuto valuterà sostanzial­e la nuova proposta che proviene da Melegatti e dal fondo che lo sostiene. Una prima indicazion­e la si avrà dalla data in cui i giudici fisseranno l’udienza di inammissib­ilità del concordato. Se la data dell’udienza sarà fissata di lì a pochi giorni, significa che i giudici non hanno ritenuto esserci margini di manovra nonostante la nuova «soluzione». Ma anche nell’altro caso la strada si mostra impervia: presentare un piano di concordato in 3 settimane è davvero un’impresa.

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