Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
«Chiesa, il coraggio civile è la nostra identità: rovinoso averne teorizzato il silenzio»
Pubblichiamo uno stralcio del libro «La sfida. Un viaggio della fede da Giussani a Ratzinger» (Lindau), in cui Giampiero Beltotto intervista Luigi Negri vescovo emerito di Ferrara
Solženicyn ha scritto nel ’74: «L’Occidente ha perso il suo coraggio civile, sia nel suo insieme, sia separatamente».
«È vero. Il coraggio civile è l’espressione dell’identità cristiana nella società e nella storia. Poiché l’identità della fede è la rivelazione del valore assoluto dell’uomo nel mistero di Cristo e nella Chiesa, l’esito sociopolitico di questo assunto è il valore della persona, la sua centralità. Per la cultura cattolica centrale risulta essere, quindi, il valore del popolo come espressione piena della realtà personale. Ora noi, i cristiani, diventati così insicuri circa la nostra identità, siamo diventati ininfluenti sul piano della presenza sociale. Ma l’aspetto rovinoso – e qui mi devo fermare perché mi vengono in mente troppi volti e nomi di miei amici che hanno tradito – è l’aver teorizzato questo silenzio, questo disinteresse, questo non entrare nel merito delle questioni sociali e culturali della società che ci circonda. Ma la Chiesa nella sua storia non ha mai accettato di tacere. Ho in mente l’atteggiamento straordinario che i cattolici italiani ebbero nei confronti del fascismo, ma non del fascismo solo quando divenne Stato, ma di quel fenomeno quando cominciò a formarsi. Il fascismo di piazza San Sepolcro, dei Fasci di combattimento…»
Dal fascismo rivoluzionario, per dirla con De Felice.
«Esatto. La Chiesa non cedette all’idea che il fascismo significasse una trasformazione positiva della società italiana, e che il suo compito fosse da un’altra parte. Perciò accettò di assumere la funzione di resistenza al regime, nei modi realistici in cui tale resistenza poteva essere fatta» (…)
Quindi, secondo lei non ci sarà più Occidente perché non ci sarà più cristianesimo?
«Non ci sarà più Occidente perché non ci sarà più una Chiesa presente. Ci sarà una Chiesa custode dei musei, e qui va ricordata la recente polemica sulla Chiesa custode dei musei, polemica favorita anche da alcuni interventi del Papa. Ma la questione «museale» si è sempre posta, fin dagli inizi, e la Chiesa ha sempre vigorosamente ribattuto che non avrebbe custodito nessun pezzo della sua tradizione se non come una realtà in perenne movimento, perché ciò che è importante non sono i documenti, i marmi, o le tele che la tradizione produce. Tanto per ricordare ancora sant’Ambrogio, egli fece fondere i vasi d’oro che arricchivano la sua Chiesa. Alcuni ecclesiastici d’oggidì li farebbero mettere in Svizzera. Ambrogio invece li fuse per distribuire il pane ai poveri» Chi è l’Anticristo?
«È il sistematico rifiuto del senso ultimo della Storia, è la volontà dell’uomo di costruire da sé il senso del proprio destino. L’ideologia moderna non accoglie la vita come dono della Grazia. Pretende una trasformazione radicale dell’uomo attraverso l’uso spregiudicato del potere da parte di un’élite che si autoproclama depositaria di tale esercizio. Occorre rileggere Dostoevskij. L’Anticristo è un uomo, è un gruppo, è un movimento, è, magari, una Chiesa. Se la Chiesa rinuncia all’evangelizzazione e accetta di accudire le conseguenze etiche e sociali che derivano da questa volontà di peccato, allora potrebbe scegliere di essere guidata da un Anticristo»
Eccellenza, parecchi nuovi vescovi della Chiesa cattolica partono da un cameratesco «chiamatemi don e datemi del tu». Cosa ne pensa lei? E come pensa che io la debba appellare?
«Chiamami come ti senti. Certamente, un riferimento all’esperienza della tradizione della Chiesa e alla sua saggezza ci mette al riparo da tante fughe in avanti. Ricordo quando uscì il film L’attimo fuggente e l’interpretazione che diede don Giussani di quel professore, che per svecchiare le strutture faceva lezione in piedi sul tavolo. Era la reminiscenza di quanto già successo con molto meno pathos artistico nelle scuole italiane qualche anno prima. Si trattava, così mi disse don Giussani, L’intervista. Un prete tra due secoli 53 del racconto di un vero e proprio disastro dal punto di vista educativo, con un tragico epilogo del tutto coerente con le premesse. Infatti, nella trama del film, uno di questi ragazzi che si era trovato senza riferimenti adulti veri e seri, decide di scivolare nel suicidio. Voglio dire che i cambiamenti reali non sono legati a certe superficiali forme di semplificazione: conosco vescovi che non portano più lo zucchetto, e che girano abbigliati con sciatteria ricercata, ma non paiono campioni di reale trasformazione in senso evangelico. Un po’ come il professore dell’Attimo fuggente che fa lezione strappando le pagine dell’antologia di letteratura. Ho dubbi sul fatto che queste forme aumentino l’apertura, l’affezione, il dialogo, l’accoglienza reciproca tra pastore e fedeli perché l’accoglienza nasce da un giudizio. Io sono padre del mio popolo in tutto e mi sento padre di tutti perché mi regge un giudizio chiaro sul rapporto tra me e loro»
Quindi se la chiamo Eccellenza e le do del lei, non si sente a disagio.
«Per nulla. Così facendo non rispetti me, ma Cristo e la Chiesa, la storia e la tradizione»