Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Sempre di spalle sicuro e pure un po’ sbruffone
MESTRE «L’avevo capita la domanda, solo che lei continua a parlare!». «Ma gliel’ho già detto, avvocato!». E’ il Felice Maniero che ti aspetti, quello che inizia il controesame degli avvocati Marco Rocchi e Giuseppe Carugno. Sicuro, sbruffone. Sta per ore seduto su una sedia, vestito di scuro, capelli ormai brizzolati. Solo a un certo punto, durante una pausa, si stiracchia e, mentre butta indietro la testa, si intravedono il volto e i grossi occhiali di colore nero.Resta rigorosamente di schiena, ma lui – a suo tempo noto per la vanità – vieta le foto a quel monitor che, tra le «gracchiate» che in aula innervosiscono tutti, ne porta la voce dalla località segreta in cui si trova. «Si impegna a dire la verità?», gli chiede il giudice Stefano Manduzio. «Sì, certo», replica. La battuta non gli manca («Gobbato? Era un mio... era... un criminale, ecco dai», «Da Fossombrone non sono stato scarcerato... sono evaso»), ma man mano che gli avvocati lo tempestano di domande perde un po’ la bussola e cade in qualche contraddizione. Come quando nega più volte di aver mai affidato i suoi soldi ad altri oltre a Di Cicco, salvo fare marcia indietro quando Rocchi gli legge i verbali del 1996 in cui parlava di 6,3 miliardi dati a Gobbato: «Ora lo ammetto». Idem con Galvan. O come quando gli viene chiesto perché aveva parlato di un’unica consegna di soldi, quando invece erano due, e perché aveva detto di averne ricevuta una direttamente, mentre i testimoni l’hanno smentito: «Mi sono sbagliato», taglia corto. D’altra parte lui stesso da un lato dice che «per mia sorella Noretta avrei fatto tutto», ma dall’altro si lamenta che in questa storia del «tesoro» «ha fatto la stupida e ora ho chiuso i rapporti». Mentre alla domanda se lei, ex moglie di Di Cicco, si fosse offesa per il fatto che lui continuava a mantenere i rapporti con l’odontoiatra e la nuova compagna, replica stizzito: «Non mi risulta, ma non me ne sarebbe importato nulla».