Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Non accetta la seconda moglie pestata dal marito

- Roberta Polese

PADOVA Per un algerino residente a Fontaviva quella donna sposata appena arrivati in Italia, che gli aveva dato due figli maschi, non era una brava moglie. Motivo? Lei non voleva firmare il contratto che la costringev­a ad accettare in casa la seconda moglie di lui. Nella cultura algerina questo è possibile, ma la vittima di quelle violenze, una 38enne, voleva vivere lontana dalle imposizion­i religiose dell’Islam. E allora erano botte, tanto che per due volte la donna è finita in ospedale e per cinque volte ha chiamato i carabinier­i per calmare l’ira del marito, che in più di un’occasione le ha anche urinato addosso.

Ieri l’incubo è finito: Mohamed Abla, 54 anni di Fontaniva, è stato condannato a due anni e tre mesi di reclusione dal giudice Valentina Verduci, che gli ha anche imposto un risarcimen­to di 10mila euro e il pagamento delle spese legali. Non saranno i soldi a rendere la moglie una donna libera: lei ha scelto di liberarsi dalla schiavitù quando ha deciso di denunciarl­o ai carabinier­i e di affidarsi al suo legale, Maria Forestelli, che con tenacia ha difeso la sua dignità. Le violenze sulla pelle, quelle raccontate nel capo di imputazion­e, cominciano nel 2013, ma quelle dell’anima iniziano molto prima. Nel 2012 la 38enne, già sposata con Mohamed e mamma di due bambini, viene spedita in Algeria: «Vai lì, che i bambini crescono meglio», le dice il marito. Lei accetta. Come racconterà l’avvocato Forestelli in aula, ad Algeri la donna va a vivere dentro un garage dei parenti di lui: le passano 150 euro al mese. Lei, che ha vissuto in Italia libera da costrizion­i, vuole per sé e per i bimbi un futuro migliore. E poi mentre è in Algeria scopre che il marito, approfitta­ndo della sua assenza, aveva pagato una fideiussio­ne di migliaia di euro a un’altra famiglia algerina per far spedire in Italia la loro figlia, che lui voleva sposare.

La favola che i figli crescono meglio in Algeria è quindi solo una scusa per portare a termine il suo piano. A quel punto, disubbiden­do al marito, la moglie torna a Fontaniva. Lui se la ritrova davanti e non è per niente contento: in casa c’è la giovane nuova moglie, sposata con un rito algerino e la prima consorte viene costretta a firmare un documento in cui deve accettare quel legame, perché questa è la regola nel suo Paese. Ma lei non lo firma. E iniziano le umiliazion­i, gli insulti, le botte, le corse all’ospedale di Cittadella con i lividi. «Mohamed Abla era molto bravo a picchiarla in posti nascosti dagli abiti, in modo che la gente non vedesse», ha detto ieri il pm durante l’arringa, che ha chiesto due anni e tre mesi, poi concessi dal giudice. L’accusa è maltrattam­enti e lesioni aggravate dal legame familiare, ma in aula per mesi si è dibattuto di un uomo che ha usato la sua cultura per umiliare e annientare la madre dei suoi figli. Nulla di tutto questo prevede l’Islam.

A spiegare altri dettagli di questo inferno è ancora l’avvocato Forestelli: «Mohamed Abla faceva la spesa lasciando il cibo in macchina e chiudendo a chiave, in modo che lei non lo potesse prendere. Dava qualcosa ai bambini ma a lei niente, era costretta ad andare a elemosinar­e cibo da amici e vicini di casa».

Oggi la donna vive lontana da lui, sempre a Padova. Mohamed provvede ai bambini, che stanno con l’ormai ex moglie: gli è stato pignorato lo stipendio (lui ha un lavoro stabile) e quei pochi soldi servono alla 38enne per far crescere i figli. Lui sta ancora con la nuova moglie, che ieri era in aula a testimonia­re in suo favore. Fra tre mesi si conosceran­no le motivazion­i della sentenza. Ora la ex moglie sta cercando di ricostruir­si una vita.

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Le botte La donna è finita all’ospedale

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