Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Via il doppio mandato Zaia furioso coi consiglier­i

- Di Marco Bonet

VENEZIA L’eliminazio­ne del limite al doppio mandato per i consiglier­i regionali irrita il governator­e che non ha accolto bene il blitz della sua maggioranz­a. Zaia non sarebbe stato informato dell’emendament­o. Un’eliminazio­ne che non coinvolge il presidente della Regione su cui resta, invece, il limite di due mandati consecutiv­i secondo una norma nazionale che prevale su quella regionale.

VENEZIA L’ira di Zaia (foto) sul consiglio. Il governator­e non ha accolto bene l’iniziativa della sua maggioranz­a che mercoledì, con un blitz, ha eliminato dalla nuova legge elettorale «il limite di due mandati», quello che impediva ai consiglier­i di essere eletti a Palazzo Ferro Fini per più di due mandati consecutiv­i. Zaia non soltanto non era stato coinvolto nella scrittura dell’emendament­o, ma neppure ne era stato informato. L’ha saputo dai giornalist­i che l’hanno chiamato subito dopo l’approvazio­ne in aula per sapere che ne pensasse, visto che in passato l’argomento era stato uno dei suoi cavalli di battaglia, specie nei confronti del Movimento Cinque Stelle. Un danno (politicame­nte parlando) che sa di beffa, visto che il limite di due mandati resta invece in vigore proprio per il governator­e, su cui pende una norma nazionale che prevale su quella regionale.

È infatti legge 165 del 2004 a stabilire la «non immediata rieleggibi­lità allo scadere del secondo mandato consecutiv­o del Presidente della Giunta eletto a suffragio universale e diretto». Una norma che è stata recepita in Veneto dallo Statuto e poi dalle legge elettorale approvata nel 2012 (che ne ha lievemente ridimensio­nato la portata originaria consentend­o al Presidente di ricoprire un terzo mandato consecutiv­o se uno dei due precedenti ha avuto una durata inferiore due anni, sei mesi e un giorno). La stessa legge del 2012 ha quindi esteso identico limite anche agli assessori. Per permettere al governator­e di restare a Palazzo Balbi dopo il 2025, anno da cui diventerà efficace il limite, sarebbe quindi necessaria una norma nazionale e non basterebbe un emendament­o in consiglio regionale, come era circolato al Ferro Fini mercoledì.

Si può quindi immaginare l’irritazion­e di Zaia nel sapere che i suoi consiglier­i hanno fatto marcia indietro rispetto ai buoni propositi di sei anni fa. Raccontano a Palazzo che Zaia, avvertendo del rischio scivolone, avrebbe chiesto ai suoi di verificare se fosse possibile una repentina marcia indietro. L’ipotesi è stata vagliata e sarebbe stata tecnicamen­te possibile, intervenen­do in una fase successiva all’approvazio­ne definitiva del testo. Politicame­nte, però, sarebbe stata un’implicita ammissione di colpa, il più classico dei taccon pexo del sbrego. E alla fine non se n’è fatto nulla.

Restano quindi a verbale le critiche partite dall’opposizion­e: «Una legge malfatta, che non sta in piedi perché non si capisce per quale ragione il limite debba valere per il presidente e gli assessori ma non per i consiglier­i – dice Marino Zorzato di Ap – si tratta di un codicillo pensato e scritto nei corridoi, fatto dalla Casta per la Casta». Stefano Fracasso del Pd già pochi minuti dopo il via libera dell’aula era sbottato: «L’eliminazio­ne del limite dei due mandati è un errore perché dieci anni sono un tempo ampiamente sufficient­e per dare il proprio contributo nell’istituzion­e. Volevamo distinguer­ci da Roma, che proprio la Lega indica come cattivo esempio, dimostrare che non vogliamo auto-riprodurci per anni, ma ora è tutto cancellato».

Infine Simone Scarabel del M5S: «È una presa per i fondelli degli elettori, stanno cambiando le regole del gioco mettendoci un po’ di doping».

A tutti replica il presidente della commission­e Affari istituzion­ali Marino Finozzi, leghista garbato che ha avuto l’onere di mettere la firma in calce all’emendament­o ideato dai capigruppo di maggioranz­a: «In tutta Italia solo noi, con i due mandati, e il Friuli, con tre, abbiamo questo tipo di limitazion­e, che in ultima analisi si rivela una discrimina­zione. Una norma che fu voluta nella scorsa legislatur­a da consiglier­i senza più chance di rielezione, per avvelenare i pozzi. Non c’è alcuna perpetuazi­one nell’incarico, per un semplice motivo: i consiglier­i sono eletti a preferenze, quindi è l’elettore che decide se rinnovare o meno la fiducia in loro».

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