Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
La multiproprietà del cuore 50 famiglie comprano casa per accogliere i migranti
C’è chi ha messo 500 euro, chi 3 mila. Pranzi e gite con gli ospiti
MESTRE «Qualunque cosa, se fatta da soli ci sembrava insormontabile», dicono ricordando quei mesi passati a interrogarsi. Sono partiti in un piccolo gruppo di amici, poi gli incontri sono diventati sempre più numerosi, oggi sono più di cinquanta e hanno fondato un’associazione.
Il pugno arrivato dritto allo stomaco sono state le parole di Papa Francesco nel settembre 2015, in piena emergenza profughi: l’appello alle parrocchie di esprimere la «concretezza del Vangelo» accogliendo una famiglia di migranti come gesto concreto in preparazione all’Anno Santo. «Quelle parole riguardavano ciascuno di noi», raccontano. Si sono associati, si sono affiancati alle istituzioni e a coloro che si occupa di accoglienza, ora stanno accompagnando un gruppo di migranti all’integrazione, trasformando in un’azione concreta il pugno sullo stomaco, in decisione lo sgomento iniziale, in azione diretta la compassione. Hanno comprato una casa con i prestiti di tutti gli amici che nel frattempo erano diventati soci dell’associazione «di casa», «raccogliendo la sfida dell’accoglienza dei profughi a casa nostra», spiega il presidente Antonino Stinà.
Ognuno ha messo secondo le proprie capacità: chi 500, chi mille, chi duemila e chi tremila euro. Agire e reagire «a quello che la maggior parte delle persone pensa, dice e fa», riflette Germano Garatto, responsabile del progetto «Il viaggio della vita» della Fondazione Migrantes Lampedusa, durante la presentazione dell’esperienza al negozio Piave 67. Perché come sottolineano i soci, «non voleva essere un’elemosina, ma un’esperienza replicabile anche da altre persone». In realtà l’hanno replicata già loro. All’acquisto della casa dove sono ospitate sei ragazze provenienti dalla
Stinà Interrogati dalle parole del Papa, riguardavano ciascuno di noi
Nigeria tra i 18 e i 27 anni, è seguito l’affitto di un appartamento dove vivono quattro giovani usciti dai percorsi di accoglienza che hanno già piccole esperienze lavorative, in cui l’aiuto è finalizzato anche alla gestione delle loro risorse, a non spendere tutti i soldi che guadagnano, a vivere una vita autentica. E da qualche giorno un ulteriore alloggio per altrettanti migranti.L’amicizia da una parte, l’unità nell’intento dall’altra sono la loro forza per affrontare un progetto che all’inizio sembrava inimmaginabile. «Non volevamo che l’accoglienza e l’integrazione fosse delegata solo alla pubblica amministrazione», dice Stinà. Anche perché l’emergenza è quasi sempre affrontata «parcheggiando i migranti in questi grandi centri in attesa di rispedirli altrove», dice Garatto. «Dietro ad ognuno di loro ci sono ferite che faticano a rimarginarsi — prosegue —. Quasi tutti per strada hanno perso qualcuno: uno moglie, un fratello, un figlio o un amico. E molti quando arrivano si accorgono che era meglio se fossero stati a casa». Dietro ad ognuno di loro non c’è una scelta individuale, ma una famigliare, dove tutti i componenti lavorano per pagare il viaggio. Se ne sono accorti anche gli amici «di casa» che hanno voluto instaurare anche un rapporto personale con le ragazze che ospitano nell’appartamento. Se infatti la gestione è stata affidata a dei professionisti di accoglienza (la cooperativa Il Lievito di Mestre) che si fanno carico delle spese mensili dell’alloggio e dell’organizzazione giornaliera, i volontari hanno deciso di «completare le attività di accoglienza». Capita così che vadano con le ragazze a pattinare, a cantare o semplicemente a passeggiare. Cenano assieme e cercano di fare dei primi corsi di italiano (loro parlano inglese). «Bisogna avere pazienza — spiega Stinà — ci siamo accorti — che il problema non è solo la casa, ma le relazioni, la comprensione linguistica e la comprensione di una cultura diversa dalla nostra per noi, o diversa dalla loro, per le ragazze».
Qualche delusione? La risposta è di Germano Garatto che ha alle spalle diversi anni di esperienza con centinaia di migranti. «Certo, come anche i nostri figli ci possono deludere».
Garatto Dietro ad ognuno di loro ci sono ferite che faticano a rimarginarsi