Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Eichengreen legge il populismo di Trump «Mai contro la finanza»
Il docente di Berkley analizza i movimenti nati in Europa e Usa «Oltre i media e i partiti tradizionali, in conflitto verso l’establishment Trump? Contrasta le élite intellettuali, ma non quelle economiche»
Docente di Economia e Scienze politiche all’università di Berkley in California, Barry Eichengreen sarà venerdì 1 giugno alle 17 al Palazzo della Provincia dove, con il giornalista Stefano Feltri, rifletterà sul populismo, tema tanto attuale, quanto di difficile definizione, per le infinite forme con cui il tema viene declinato del dibattito odierno.
Professor Eichengreen, come può essere definito il populismo oggi?
«La miglior definizione di populismo, a mio parere, è di movimento politico contro qualcosa: establishment, autoritarismo, altre tendenze. E così vi può essere un populismo di sinistra e un populismo di destra. Negli Usa, per esempio, abbiamo entrambe le varianti, così come voi in Italia. I populisti di destra tendono a definire “l’altro” come distinto dalla “gente”, riferendosi a stranieri e minoranze, etniche o religiose. I populisti di sinistra tendono a definire “l’altro” come banchieri, industriali, politici. Le due varianti hanno forse più elementi di contatto che di contrasto». Il populismo può rappresentare un superamento delle ideologie tradizionali come socialismo, liberalismo, nazionalismo? «Non so se il populismo possa essere in grado di superare le ideologie più tradizionali. Ma, di norma, i populisti operano fuori dal mainstream politico, contrastando i partiti strutturati e utilizzando strumenti alternativi ai media tradizionali. Beppe Grillo ha fondato un blog famoso. Donald Trump usa twitter. Padre Coughlin, agitatore populista americano negli anni ’30, aveva usato la radio. William Jennings Bryan, famoso populista americano del diciannovesimo secolo, fu pioniere nelle campagne capillari utilizzando il treno»
Che dire del populismo oggi negli Stati Uniti? Pensa che Trump potrebbe essere
il leader di una sorta di Internazionale populista?
«Se Trump possa galvanizzare un movimento internazionale? No. Trump non ha comprensione degli altri Paesi. E, in ogni caso, il suo appeal è peculiarmente americano. Trump è genuinamente populista? Quantomeno soddisfa due dei tre criteri chiave: dispiega tendenze autoritarie ed è fortemente connotato contro: anti-stranieri, anti-ispanico, anti-minoranze etniche. Ma è davvero anti-élite? Chiaramente non ha feeling con l’élite politica e intellettuale, preferendo imperniare le proprie analisi su Fox News, dimettendo, nella propria amministrazione, consulenti esperti per sostituirli con figure inesperte in posizioni chiave. D’altro canto, le sue politiche fiscali chiaramente favoriscono le élite economiche, quell’1% in cima alla piramide della ricchezza. Non mostra alcun interesse nella ridistribuzione della ricchezza verso la classe operaia, tra le proposte tipiche di un politico populista» E il populismo in Europa?
Quale il suo legame con l’Ue?
«Certamente l’Ue è un obiettivo centrale per i populisti. La Commissione europea e la Bce sono condotte da élite, percepite come soggetti che impongono politiche per decreto e che, per definizione, sono dominate da stranieri. Risulta, dunque, facile per i populisti condurre le politiche interne mettendo nel mirino l’Ue».
In Italia quali sono i partiti e i dirigenti politici davvero populisti, per lei?
«Penso a quei partiti in cui conta, più che le individualità, l’organizzazione che supera la vita politica di quelle individualità. Ovviamente, ho in mente Lega e 5 Stelle».
Il Trentino ha una forma peculiare di governo autonomistico. Pensa possa essere un modello per riorganizzare la partecipazione democratica?
«Una soluzione alle politiche e alle linee di condotta inefficienti che contribuiscono al senso di alienazione che permea questi tempi, è avvicinare le decisioni alle persone e consentire più decentramento, in modo che diversi raggruppamenti possano esprimere e realizzare le proprie preferenze. In California condividiamo la stessa idea: un approccio più capillare può forse proteggerci dalle scelte più dissennate dell’amministrazione Trump. Ci sono, però, alcuni assi, per esempio esteri e immigrazione, che possono essere affrontate solo a livello nazionale. Più decentramento, dunque, è una risposta parziale».