Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
«Evasione, burocrazia, denatalità L’Italia risolva i problemi strutturali»
A febbraio Silvio Berlusconi gli aveva chiesto se volesse fare il ministro e anche Luigi Di Maio si era dimostrato interessato. Nelle ultime settimane il suo è stato uno dei profili ricorrenti prima per la guida del «governo di servizio» evocato dal presidente Sergio Mattarella, poi per l’incarico di «premier terzo» del sodalizio LegaCinque Stelle. Carlo Cottarelli, già commissario straordinario per la revisione della spesa, oggi direttore dell’Osservatorio conti pubblici italiani dell’università Cattolica di Milano e visiting professor alla Bocconi, a Trento spiegherà perché l’economia italiana non riesce a recuperare terreno, ma ricorderà anche come la precarietà che ne impedisce la ripresa non sia legata a un destino da subire.
Professor Cottarelli, l’Istat nella sua ultima nota sull’andamento dell’economia italiana relativa al mese di aprile scrive che «si rafforzano i segnali di rallentamento delineando uno scenario di minore intensità della crescita». Che peso hanno «I sette peccati capitali dell’economia italiana», secondo il titolo del libro che presenterà al Festival, nel frenarla?
«Quantificarne l’effetto in termini numerici è impossibile, ma nel volume spiego perché facciano male ai conti pubblici e alla crescita. L’evasione fiscale, ad esempio, danneggia entrambi: i primi perché se sono in disordine espongono l’Italia al rischio di attacchi speculativi, ma anche la seconda perché le imprese
che vivono meglio sono quelle che evadono di più, non necessariamente le migliori».
Oltre all’evasione fiscale lei elenca corruzione, eccesso di burocrazia, lentezza della giustizia, crollo demografico, divario fra Nord e Sud e difficoltà a convivere con l’euro: fra questi, quali sono i peccati peggiori?
«Premesso che sono tutti problematici, indicherei la burocrazia: troppe regole, soprattutto se inappropriate, distorcono il buon funzionamento dell’economia e scoraggiano l’investimento estero. Poi il crollo demografico: se la popolazione cresce meno il Pil e il reddito pro capite fanno lo stesso. La produttività, inoltre, è minore in Paesi che invecchiano più rapidamente».
Il più recente è la difficoltà dell’economia italiana a convivere con l’euro.
«Credo sia il principale responsabile della scarsa crescita degli ultimi vent’anni. Ciò non vuol dire che siamo incompatibili con l’euro, ma che abbiamo fatto cose con essa inconciliabili, in particolare sostenere degli aumenti dei costi di produzione più alti di quelli della Germania non potendo più svalutare. Risolvere i problemi di cui parlo nel libro agevolerebbe l’uscita del Paese dalla crisi: se si riduce la burocrazia, ad esempio, le imprese italiane dovranno sostenere
meno costi e diventeranno più competitive».
Venendo al tema che caratterizzerà questa edizione del Festival dell’Economia, quali effetti sta avendo e potrebbe avere il progresso tecnologico sul mercato del lavoro italiano e sulla distribuzione del reddito?
«Il Fondo monetario internazionale sostiene che due terzi del cambiamento nella distribuzione del reddito siano dovuti al progresso tecnologico, un terzo alla globalizzazione: non sono d’accordo. Nei primi ottant’anni del ventesimo secolo la distribuzione del reddito è stata più egualitaria nonostante la presenza di un progresso tecnologico molto più grande di quello che ha riguardato gli ultimi trent’anni. È stata la globalizzazione, secondo me, a provocare un aumento forte e rapido nell’offerta di lavoro rispetto al capitale disponibile e questo ha spostato la distribuzione del reddito verso il capitale e le capacità specializzate. Per quanto riguarda il mercato del lavoro, che le merci siano prodotte in Cina piuttosto che in Italia non fa la differenza: si tratta di lavoratori cinesi che fabbricano manufatti in concorrenza con quelli prodotti dagli italiani a un salario più basso. Questo spinge verso il basso i salari anche nei Paesi occidentali, indipendentemente dal fatto che la produzione venga fatta qui, come avverrebbe se ci fossero immigrati cinesi che arrivano in Italia, oppure in Cina».