Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Colori, geometrie e vertigini Memphis, collettivo «cult»
A Palazzo Franchetti apre la grande retrospettiva a cura di Berengo e Blanchaert
Si distingue per la sua forma decisamente insolita e anticonvenzionale, una composizione di profili geometrici lineari sovrapposti e arditi accostamenti di colori. Realizzata in legno e laminato plastico, dotata di piani orizzontali e piani inclinati che compongono una figura dai tratti antropomorfi, è ormai un oggetto cult del postmoderno che identifica un periodo storico.
È lei, la Carlton, l’iconica libreria disegnata da Ettore Sottsass nel 1981, a far da prologo alla spettacolare mostra «Memphis - Plastic Field», che la Fondazione Berengo di Venezia accoglie da oggi al 25 novembre a Palazzo Franchetti. È un azzardo irriverente riuscitissimo il progetto espositivo, curato da Jean Blanchaert e Adriano Berengo, che riarreda gli ambienti affrescati del palazzo tardoquattrocentesco con le opere di Memphis, il collettivo che negli anni Ottanta sfidò la moda minimalista dell’epoca con un design iconoclasta e variopinto.
La citata Carlton si staglia davanti alle finestre gotiche nello scalone che porta al piano nobile, ma fa anche da guida nella struttura della mostra, col suo scheletro geometrico che riplasma la pianta del palazzo nell’allestimento a cura di IB Studio di Milano, che si presenta come un giardino rigoglioso di piante. Nero, così da far risaltare i colori esplosivi, i motivi esuberanti, le asimmetrie intrepide e compenetrazioni, i complessi assemblaggi di Memphis.
«Fu - spiega Jean Blanchaert - la rivoluzione di un pensiero culturale, la mostra presenta la più ampia esposizione di prodotti Memphis mai proposta, con circa 200 pezzi dal 1981 al 1987, anno in cui fu proprio il fondatore del collettivo Sottsass a considerare conclusa l’avventura». Stanza dopo stanza, lavori firmati Mendini, Mariscal, Graves, Iosa Ghini, Thun, Taylor, Umeda, Sowden, Sanchez, Branzi, Hollein, tutte le icone d’arredamento di un’epoca, dal divano Lido, assemblaggio di vari materiali e alla sedia First di Michele De Lucchi alla poltrona verde in vetroresina iridescente Roma di Marco Zanini; dal mobile da soggiorno Casablanca di Sottsass – che padroneggia nella rassegna – al tavolo giallo Brazil di Peter Shire dalla pericolosa forma a triangolo con una pronunciata punta, «che quando venne presentato la prima volta – racconta Alberto Bianchi Albrici, proprietario della società Memphis, che ancora produce questi pezzi - fu molto criticato, soprattutto da un giornalista che disse di essersi fatto male. Critiche che ne decretarono il successo». E ancora, le lampade piantane di Aldo Cibic, i tessuti di Nathalie Du Pasquier e lo straordinario tavolino Kyoto (1983) di Shiro Kuramata, che riecheggia il cosiddetto terrazzo veneziano, in cemento con inserti di vetro colorato.
Una sala a tema esprime l’impegno della Fondazione Berengo nel promuovere eleganza e versatilità dell’arte vetraria di Murano e ripropone le sagome d’impatto e il ventaglio cromatico delle opere di vetro firmate Memphis, in particolare di Sottsass che abbiamo da poco visto alla Fondazione Cini. Diceva Ettore Sottsass: «Io non credo di aver inventato niente, ho proposto un modo di essere».