Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
«Fritto mistiko» Il nuovo Medrano ironia e dialetto
Esce il disco «Fritto mistiko» del cantante veneziano, per l’occasione in coppia con Kalibro. «Ho unito un piatto popolare alla religiosità perché dentro c’è un po’ di tutto. Il singolo “Salvadego”? Un modo per dire che siamo genuinamente veneti»
Nel 1993 ha pubblicato il suo primo album rap con il nome di Uno, quando il genere era tutt’altro che popolare. A quello ne sono seguiti altri, sia da solista che assieme ai Groovy Monkeys. Oggi Herman Medrano, 46 anni di Dolo, Venezia, pubblica l’11esimo disco della carriera in compagnia di Kalibro, rapper di Padova già metà del duo Lotte invisibili. «Fritto mistiko» è disponibile nei digital store e si potrà acquistare in copia fisica nei venti concerti della tournée che stasera passerà per l’Haiti Rock Bar di Fiesso Umbertiano, Rovigo, e il 2 giugno al Piazzola Live Festival di Piazzola sul Brenta, Padova (info www.frittomistiko.com).
Perché un titolo così sfuggente come «Fritto mistiko»?
Herman Medrano: «Ho voluto unire il nome di un piatto popolare a una concezione elitaria della religiosità perché dentro all’album c’è veramente un po’ di tutto. La chiave è che il disco spazia tra sonorità e tematiche diverse».
Come mai avete scelto come primo singolo «Salvadego»?
Kalibro: «È il pezzo che rappresenta di più l’intero album. Siamo cresciuti entrambi in periferia e ci portiamo dentro questo spirito semplice, sia nel divertimento che nella vita. Siamo legati alle nostre radici».
H: «Un modo per dire che siamo genuinamente veneti, siamo fieri di esserlo, e siamo fatti così; non siamo peggio o meglio di chi vive nelle grandi città, ma siamo comunque diversi».
Il dialetto è molto presente ma nel disco rappate anche in italiano. Come mai?
K: «Rientra nel fattore del “mistiko”, l’unione di due lingue che ci appartengono en-
trambe»
H: «Abbiamo unito il dialetto e l’italiano in modo del
tutto naturale… per me è stato
un ritorno alle origini perché i primi album erano in italiano».
L’album affronta temi meno impegnati degli ultimi due «Gnente» e «Noseconossemo»?
H: «È un album libero. Forse non dovrebbe scriverlo un 46enne, ma alla fine è quello che vivo ed è giusto raccontarlo. Bere qualcosa di più durante una serata come raccontiamo ne In candea è una cosa che capita a tutti: fa parte dello storytelling dell’hip hop raccontare la propria vita».
Questo è il suo 11esimo album. Quanto è cambiato il rap dai primi anni Novanta ad oggi?
«Sono passate ere geologiche… e ci sono ancora in giro dei dinosauri come me. C’è
stata una evoluzione, ma anche un’involuzione e una devoluzione, visto che in tanti hanno abbandonato. Oggi
tanta musica definita rap non ha lo spirito dell’hip hop, ovvero la voglia di comunicare, fare gruppo e portare un messaggio. Tanto “rap” è solo esibizionismo».
Si riferisce a qualcuno in particolare? H: «Mi riferisco a tanti che
hanno un’influenza negativa
sui ragazzini. Gente che vuole solo ostentare una vita fatta di droghe e soldi, che magari
neppure hanno. Sul pubblico di giovanissimi può essere una cosa davvero deleteria».