Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
«Grazie a tutti, ma ora rivoglio la mia vita»
Ma la polizia pachistana: «Nessun aborto forzato». La madre: «Riportatela qui»
VERONA
Il volto sereno. La voce, che racconta il bisogno di riposare. Indosso, il vestito bianco regalatole dalla moglie di Stefano Pontecorvo, l’ambasciatore italiano a Islamabad, prima tappa della «liberazione» da quei genitori che l’avevano convinta a tornare in patria a febbraio per poi costringerla ad abortire. «Grazie allo Stato pachistano che mi ha fatta uscire da quella situazione. All’Italia e a Verona che mi hanno procurato i documenti per tornare. Ai miei compagni di classe e al mio fidanzato perché senza quei messaggi via telefono in cui li avvertivo della situazione non so cosa sarebbe successo. E a voi giornalisti, che avete evidenziato la notizia portando il caso all’attenzione delle autorità. Quanto successo in Pakistan è un libro chiuso. Ora, per favore, dimenticatemi».
L’oblio, chiede Farah, ora di nuovo a Verona - dove era arrivata nel 2008 - dopo che la sua storia è diventata un caso internazionale, lei incinta del fidanzato di fede cristiana, lei portata con l’inganno in Pakistan, tenuta prigioniera e costretta a interrompere la gravidanza. Ora vuole «tornare a una vita normale, con gli amici, il fidanzato, la maturità e gli studi, che vorrei proseguire».
Il senso della conferenza stampa di ieri - prima uscita pubblica dopo il rientro - è questo: allontanarsi da un cono mediatico che è stato carta utile per uscire «da quella situazione» (così la chiama) e rifarsi una vita «cancellando quello che è successo». Della sua famiglia e di quanto accaduto in Pakistan, non racconta niente. «Non voglio parlarne».
Accanto a lei, l’assessore Stefano Bertacco: «Lasciamola libera di vivere normalmente la sua quotidianità». Una quotidianità che, per adesso, si svolge in un alloggio protetto del Comune. Quanto restarci, è scelta che spetta solo a Farah.
Ma nella storia raccontata dalla diciannovenne, ci sarebbe qualcosa che non torna: questo è ciò che le autorità pachistane ripetono ai giornalisti locali. «Abbiamo indagato sul caso, interrogato Farah, i suoi genitori e alcune persone del luogo e non abbiamo trovato prove di aborto forzato», dice al sito Dawn il direttore della stazione di polizia di Garhi Shahu, Qaiser Aziz. Parole confermate anche da Pakistan Today. Nei messaggi spediti alle amiche, la studentessa diceva di essere stata legata e costretta dai genitori a rinunciare al figlio che portava in grembo. Ma gli investigatori di Lahore sostengono che la stessa Farah - sentita quando ancora si trovava a Islamabad avrebbe ammesso di non aver subito alcun aborto in Pakistan. Lo stesso afferma la Commissione del Punjab (Pcsw), che pure ha avuto un ruolo attivo nel blitz che aveva portato alla sua liberazione: «Abbiamo richiesto dettagli alla famiglia e alla ragazza sul presunto aborto forzato, ma non abbiamo trovato prove», dice Imran Qureshi, consulente legale di Pcsw.
Sulla versione di Farah sono in corso verifiche anche da parte della questura di Verona, che però ha già trovato conferma al fatto che fosse incinta prima del viaggio in patria e che oggi non lo è più.
«Quello che i media italiani hanno fatto, è vergognoso», sostiene la madre di Farah a Dawn. «Hanno pubblicato foto e storie della mia giovane figlia senza riportare la nostra versione, distruggendo l’immagine della nostra famiglia».
La donna nega di aver tenuto prigioniera la ragazza e di averla costretta ad abortire. Ora assicura che farà di tutto perché la figlia sia riconsegnata alla famiglia: «Vogliamo che Farah sia posta nuovamente sotto la nostra custodia». I genitori preannunciano una battaglia legale. «Partiremo per l’Italia la prossima settimana conclude la madre - e combatteremo perché ci venga affidata». Ma Farah è maggiorenne. E di certo non ha alcuna intenzione di tornare dai genitori.
Indagini a Lahore La polizia dice che dagli interrogatori non emergono prove di alcuna costrizione