Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Arte, bellezza, cultura Un racconto in tre strade
Luoghi, miracoli di pietra e sapori: itinerari tra storia e piccole patrie
L’immagine dell’Italia nel mondo è legata al Sud. All’estero pensano il nostro Paese come un’immensa Napoli: il mare il sole Pulcinella la pizza; e in effetti Napoli è un po’ la capitale della cultura materiale italiana (a me piace pensare anche al cinema di Totò, al teatro di Eduardo, alla musica di Pino Daniele). La capitale ideale è invece Firenze: l’Italia ha questo di speciale rispetto alle altre nazioni, non è nata dalla politica, dalla diplomazia, dalle guerre; è nata dall’arte, dalla bellezza, dalla cultura; dagli affreschi di Giotto, dai versi di Dante, dal Rinascimento, dalle intuizioni di Galileo; quindi è nata a Firenze. Poi c’è la capitale universale: Roma, la città dell’impero e del cristianesimo, del Papa e del presidente della Repubblica.
Però resto convinto che l’identità italiana vada cercata anche al Nord. Molti turisti stranieri lo evitano, limitandosi a una puntata a Venezia, per un selfie in gondola, o a Milano, per lo shopping. Credo invece che il miglior modo per scoprire l’Italia sia percorrere la pianura padana lungo tre direttrici, sempre partendo da Milano.
La via verso Est
La prima punta verso Est, e arriva fino a Udine, attraverso città con il Leone di Venezia in piazza. Il percorso sale a Bergamo, una delle più belle città al mondo, con le prove di Rinascimento nel mausoleo quattrocentesco del Colleoni, le tarsie di Santa Maria Maggiore disegnate da Lorenzo Lotto con tutti gli animali del creato, i codici miniati della splendida biblioteca. Scende a Brescia, con il suo Duomo vecchio, forse la più antica chiesa romanica d’Italia con la cripta altomedievale. Sfiora il lago di Garda, il Benaco marino di Catullo. Prosegue per Verona, la quarta città più visitata del Paese, dove si può sfuggire all’onda di prosecco che sale dall’Arena rifugiandosi nel teatro romano o più su in collina alle Torricelle. Conduce a Vicenza, dove Palladio mise a punto uno stile copiato nel mondo intero da Londra a New Delhi.
I colori del Trecento
Prosegue per Padova, capitale della pittura del Trecento, dall’incanto degli Scrovegni alla cupola del Battistero dove Giusto de’ Menabuoi, seguace di Giotto, si divertì a sbalordire i contemporanei appiccando un incendio cromatico. Venezia va vista fuori stagione, a gennaio, con l’acqua alta, di notte, quando la fiu- mana dei turisti scesi dal pullman se n’è andata (spesso senza lasciare un euro, mentre una famiglia di 4 persone ne pagherà 36 solo per la tassa di soggiorno), battendo zone semideserte tipo quella di san Nicolò dei Mendicoli o l’isola di San Lazzaro degli Armeni (avendo cura di evitare i matrimoni, oppure imbucandosi a un matrimonio armeno). Poi il Friuli, insieme contadino ed elegante, e la Venezia Giulia, ancora immalinconita dalla sua storia drammatica – la Grande Guerra, il forno crematorio della Risiera di San Sabba, le foibe, la cortina di ferro con il comunismo dall’altra parte – ma ora tornata crocevia d’Europa: Trieste è il punto più a Nord del Mediterraneo e più a Sud della Mitteleuropa, incrocio tra il mondo slavo, quello latino e quello tedesco.
La direttrice del Po
La secondo direttrice segue il Po. Pavia, dove il Ticino confluisce nel grande fiume, attraversato da uno splendido ponte, con il quartiere popolare che sorge sull’altra riva, dove incanaglirsi nelle osterie del risotto e della bonarda. Guastalla: rane, lumache, e i quadri di Pelizza da Volpedo. Mantova: riso alla pilota, tortelli di zucca, e la Camera degli Sposi di Mantegna (e la Sala dei Giganti di Giulio Romano, con gli omenoni spaventati dai massi che piovono loro addosso). Ferrara: pasticcio di maccheroni, salama da sugo, il castello che (con le piazze vuote e assolate di Torino) ispirò la metafisica di De Chirico, le statue dei Mesi che nella Cattedrale onoravano il lavoro dei contadini, e gli affreschi di Schifanoia. E poi la regione deserta, zitta e affascinante del Delta, le anguille di Comacchio, gli uccelli in volo tra fiume, cielo e mare, fino ai mosaici di Ravenna.
La via Emilia
La terza direttrice è quella della via Emilia. «Una strada antica come l’uomo, segnata ai bor-
Un viaggio speciale
L’Italia ha un unicum speciale rispetto alle altre nazioni, perché non è nata dalla politica, dalla diplomazia, dalle guerre.
È nata dall’arte, dalla bellezza, dalla cultura, dagli affreschi di Giotto, dai versi di Dante, dal Rinascimento, dalle intuizioni di Galileo
di dalle fantasie di un Duomo» canta Guccini; certo pensando ai portali del Duomo di Modena, con i galli che seppelliscono la volpe, il torneo dei cavalieri di Artù, Enoc che uccide Caino.
Piazze e sapori
Ma prima bisogna vedere Piacenza, con la gabbia dove i condannati venivano chiusi in cima al campanile e gli splendidi Cavalli rinascimentali. Castell’Arquato gioiello medievale in collina, Fidenza che ha un altro Duomo meraviglioso. Parma, una delle città che più contribuisce all’immagine e all’essenza del nostro Paese: il parmigiano e il Parmigianino, il prosciutto di Parma e la Certosa di Parma, Verdi e Toscanini, Barilla e Bevilacqua. Reggio Emilia, rinata attorno alla stazione della vituperata Alta Velocità. E dopo Bologna, che Pasolini definiva la più bella città d’Italia, la Romagna con le due meravigliose piazze di Lugo, il Pavaglione barocco e il monumento razionalista a Francesco Baracca, fino ai marmi della basilica Malatestiana di Rimini e alle spiagge promiscue di Riccione.
Un grande Paese
Poi c’è l’infinita provincia. Del Nord, del Centro, del Sud. L’Italia è un grande paese, non un paese grande. La nostra eccellenza non è nei numeri, nelle masse, nelle concentrazioni. E’ nelle piccole patrie. Policentrica per storia e per natura, dispersa nelle sue micro-capitali e nella sua conformazione lunga e aspra, l’anima italiana va cercata in luoghi di per sé modesti se non minuscoli, ma capaci di attrarre milioni di uomini o di raccontare, attraverso le storie particolari, la nostra evoluzione comune. Luoghi che esistono da sempre, talora rimasti al riparo dalla modernità, più spesso contaminati dai tempi. Luoghi come i santuari. Ne scelgo tre, molto diversi tra loro.
I pellegrini, in genere, salgono. L’ascesi tenporta de verso l’alto. I santuari sono in cima alla montagna, o a volte sono montagne, come mostrò Petrarca ascendendo al Mont Ventoux, poi teatro di scalate ciclistiche talora segnate da morti tragiche. Il Monte Gargano è meta di pellegrinaggi da decine di secoli. Arrivati in cima alla montagna, però, si scende, giù nella grotta di San Michele. C’è un grande piazzale per i pullman, che rimane spesso vuoto. Fino a poco fa, era questo il santuario dei pugliesi. Ora ci si ferma il tempo di recitare una preghiera e di comprare i taralli. Poi si riparte verso il santuario nuovo, pochi chilometri a Nord. San Giovanni Rotondo, capitale del nuovo rito e del patrono-ombra d’Italia.
Santi, patroni e turisti
Padre Pio da Pietrelcina, Benevento, venne a combattere il demonio e a guarire gli infermi sul Gargano. Oggi è uno dei più importanti poli turistici d’Italia: nove milioni di visitatori l’anno, attratti anche dall’indulgenza plenaria concessa da Wojtyla, come ad Assisi, Fatima e Lourdes; 132 bar, 110 ristoranti, 98 alberghi in una città di 27 mila abitanti. Ma questo è l’indotto. Solo di suo, Padre Pio fattura almeno cento milioni di euro l’anno. L’ospedale Casa sollievo della sofferenza. Il poliambulatorio Giovanni Paolo II. Le aziende agroalimentari che riforniscono gli ospedali e vendono il rimanente. La radio, la tv, due giornali, La Voce di Padre Pio, che è dei frati, e Casa Sollievo, che è dei preti.
Fede e agorà
Renzo Piano, l’architetto che non è infastidito dalla moltitudine ma anzi la sa interpretare, ha pensato a una chiesa che sia anche agorà, un posto dove pregare e dove incontrarsi. La pianta rotonda ricorda i suoi auditorium: l’edificio è costruito come un’arancia, a spicchi che convergono sul pulpito di Vangi e la croce di Pomodoro, l’artista più amato in Vaticano. La è di Mimmo Paladino, il maestro della Transavanguardia. I legni e i vetri prevalgono sui marmi.
Il miracolo di pietra
Assisi invece è tutta pietra. Ogni anno vengono in cinque milioni per un santo, Francesco, che non fa miracoli. Non guarisce. Non compie prodigi, neppure negli affreschi: davanti al sultano non cammina sul fuoco, gli basta accennare un passo per vincere la sfida con gli infedeli. E non c’è nulla da comprare. Nessun centro commerciale, e neppure mercatini. Qui si viene per altri motivi. E per i frati. La loro severità, e la loro peculiare dottrina della pace. In altre mani, il convento sarebbe una macchina per fare denaro; invece nella piazza, sotto il portico, tra le mura non c’è un negozio (a parte la libreria che li aiuta a vivere), né un bar. Non si affittano celle né stanze; qualche ospite si ferma a dormire, solo uomini però come sul Monte Athos; i capi di Stato e le attrici vengono accolti dal custode in parlatorio, un tavolo e quattro sedie, o nella cappella delle reliquie. Non si pagano biglietti per vedere gli affreschi. Ad Assisi lavorarono i grandi artisti del tempo, maestri divisi da rivalità, Giotto, Simone Martini, Lorenzetti, e trovarono una tale armonia che i critici non distinguono la mano dell’uno da quella dell’altro; Federico Zeri era convinto che la basilica superiore non fosse stata affrescata dalla scuola di Giotto ma da maestri romani.
L’Italia incattivita e di malumore del nostro tempo dovrebbe ritrovare se stessa in luoghi come questi. E non siamo neppure andati in due isole meravigliose come la Sardegna dai mari caraibici e la Sicilia, con i suoi templi greci che neanche in Grecia e i suoi mosaici bizantini che neanche a Bisanzio.
L’anima italiana
La nostra eccellenza non è nei numeri, nelle masse, nelle concentrazioni. È nelle piccole patrie. Policentrica per storia e per natura, dispersa nelle sue micro-capitali e nella sua conformazione lunga e aspra, l’anima italiana va cercata in luoghi di per sé modesti, ma capaci di attrarre milioni di uomini