Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Daniele Manin e le pietre decorate Tac alla piazza per scoprirne i segreti
Dai lavori per mettere all’asciutto la Basilica riemergono pezzi di storia della città
VENEZIA I quattro operai dell’impresa Rossi Renzo sollevano i pesanti masegni da un quintale l’uno, non prima di averli numerati. Poi alzano gli «steleri», cioè le pietre che delimitano il cunicolo, e lo puliscono dai fanghi che nei decenni l’hanno ostruito, ripristinando la capacità idraulica originaria. Un lavoro che a Venezia è molto comune, se non fosse che i cunicoli in questione non sono una «fogna» qualsiasi, ma il sistema di scarico delle piogge della Basilica di San Marco, il bizantino cuore religioso della città. E dunque ci si muove in una cristalleria, e per di più sotto gli occhi del mondo, con centinaia di visitatori da tutti i continenti che già di mattina, una decina di minuti prima dell’apertura delle visite alle 9.30, si allunga fin verso il palazzo Ducale. Per non parlare del valore storico e archeologico dell’area, che secondo la tradizione all’inizio del IX secolo fu il primo insediamento di Venezia. Ecco dunque che è capitato di trovare, tra quelle in «povero» calcestruzzo, un paio lastre «modanate» (cioè decorate), simbolo di ciò che comunemente avveniva a Venezia in quegli anni: il riciclo di pezzi provenienti da altri cantieri o forse dal campanile crollato nel 1902, anche se il proto Mario Piana tende a escluderlo. Oppure il rinvenimento di un «gatolo» ignoto a tutte le mappe dell’epoca, proprio sotto al monumento funebre del patriota Daniele Manin, le cui spoglie tornarono nel 1868 a Venezia da Parigi, a 11 anni dalla morte in esilio. Ora è sormontato in parte dalla struttura, che si trova sul lato dei leoncini, ma corre parallelo a quello «ufficiale» che si stava scavando. «Probabilmente fu realizzato in fretta e furia in quel periodo e poi superato dalla rete complessiva del 1878 su tutta la piazza», spiega l’archeologo Marco Bortoletto, che lavora con gli operai e con il direttore dei lavori, l’architetto Francesco Lanza di Thetis. E proprio per cautelarsi da possibili
Bortoletto Non si può mai dire cosa potremmo trovare sotto
sorprese, nei giorni scorsi dalla parte opposta, dal lato di palazzo Ducale, dove dovrebbe essere realizzato un manufatto di due metri per due che conterrà una vasca e delle pompe, è stata eseguita una «tomografia elettrica», una sorta di Tac per verificare il sottosuolo. «Non si può mai dire che cosa ci sia sotto», dice sibillino Bortoletto. Il commissario del Consorzio Venezia Nuova Giuseppe Fiengo, ieri in sopralluogo, annuisce, chiede e un po’ si preoccupa che eventuali ritrovamenti archeologici possano rallentare un cantiere importante: «Finora abbiamo segnalato tutto alla Soprintendenza – conclude l’archeologo – ma non ci dovrebbero essere problemi». «Il cantiere è anche un’occasione per fare un check sulla basilica», spiega l’architetto Lanza.
Il cantiere del «mini-Mose di San Marco» è iniziato da tre settimane. Il principio è semplice. La basilica è circondata da un sistema di cunicoli che raccolgono e scaricano le acque piovane in laguna, ma quando arriva l’alta marea succede il fenomeno inverso, cioè l’acqua risale ed entra nel nartece, cioè l’atrio della chiesa, mandandolo sotto acqua anche con maree di soli 65 centimetri sul livello del medio mare. Così il nartece resta sotto acqua per circa 900 ore all’anno, con il rischio che il sale rovini i preziosi mosaici che devono essere puliti ogni volta. Ecco allora che la Procuratoria di San Marco ha studiato un piano che prevede la chiusura dei «gatoli» con delle apposite chiuse per evitare la risalita e con un sistema di pompe che scarichino l’acqua in caso di contemporaneità tra alta marea e pioggia. Poi l’ha regalato al Provveditorato che ora lo sta realizzando sotto la guida del Consorzio Venezia Nuova per una cifra di 1,2 milioni di euro: alla fine il nartece sarà asciutto fino a quota 88, quando cioè l’acqua entra da piazza San Marco, con un taglio di due terzi delle ore «in ammollo».
«Non sono lavori facili dal punto di vista logistico», spiega Lanza. Da un lato ci sono le maree, contro cui si lotta grazie a delle pompe per tenere all’asciutto i gatoli, che saranno ristrutturati e impermeabilizzati. Poi l’esigenza di non bloccare l’accesso alla basilica e alla piazza. E’ per questo che il cantiere è «minimal» e lo sarà ancor di più quando arriverà nei punti cruciali: il lavoro davanti alla facciata sarà diviso in tre lotti, proprio per consentire l’accesso regolare di visitatori e fedeli. Ancor più piccoli – per evitare di bloccare il passaggio – saranno i micro-cantieri per il cablaggio fino al campanile, dove ci saranno gli impianti: verranno installati in tempi rapidissimi lavorando di notte.
Lanza
E’ un cantiere complesso, tra maree, turisti, accessi