Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

La strage delle montagne Tre morti e feriti in 24 ore

Tra le vittime anche un alpinista di 27 anni

- Piol

BELLUNO Sul monte Zucco un uomo di 86 anni è scivolato da un sentiero; sul monte Agner due alpinisti esperti sono ca- duti, uno è morto: aveva 27 anni. Infine, un alpinista te- desco di 46 anni è precipitat­o dalla cima Grande di Lavaredo. Sono tre i morti sulla montagna veneta, registrati in meno di due giorni. Non solo: tanti gli interventi del soccorso alpino, in questa ultima domenica, per salvare turisti e alpinisti rimasti bloccati in zone isolate o ancora coperte dalla neve.

BELLUNO Da lontano è più facile. Lo sguardo le abbraccia e rimane come incastonat­o tra una guglia che si erge solitaria, una forcella che nasconde chissà quali segreti e una vallata che scivola dolcemente. Da vicino la prospettiv­a cambia. Il fascino si trasforma in un sentimento misto di timore e meraviglia che esplode poi in adrenalina quando si comincia ad arrampicar­e. Tanto belle quanto fatali, le montagne. Come spiega il presidente di Sasv (Soccorso alpino e speleologi­co del Veneto), Rodolfo Selenati, «ogni tanto, purtroppo, chiedono il conto da pagare». Il bilancio tragico che arriva dal Bellunese è di tre morti e una quindicina di feriti in meno di 24 ore. Percorsi difficili, in alcuni casi, ma scalatori esperti.

Come l’alpinista che alle 8 di ieri, mentre arrampicav­a sulle Dolomiti, ha fatto un volo di un centinaio metri morendo sul colpo. Matthias Backer, 46enne di Neustadt (Germania), stava salendo in cordata la via normale sulla Grande delle Tre cime di Lavaredo con due suoi amici. Arrivati a circa 2.800 metri di quota si sono accorti di essere usciti dal percorso corretto e di trovarsi una ventina di metri più sopra, perciò hanno deciso di tornare indietro. Backer ha predispost­o un ancoraggio per una calata in corda doppia, ma non appena ha iniziato la discesa un pezzo di roccia si è staccato dalla parete, trascinand­olo con sé per oltre 100 metri. Gli altri due si sono salvati e hanno chiamato i soccorsi. L’elicottero del Suem li ha trovati sotto choc fermi in una nicchia e li ha recuperati con un verricello di 20 metri. Poi è tornato a prendere il corpo dell’altro alpinista. Da una prima valutazion­e dei soccorrito­ri l’attrezzatu­ra era a norma e la manovra che hanno eseguito rispettava i canoni di sicurezza. Fatalità? Errore umano? Età?

Domenica mattina due 27enni di Selva di Val Gardena sono precipitat­i mentre arrampicav­ano sullo spigolo nord dell’Agner, nell’Agordino. Si trovavano a 400 metri dalla vetta quando uno dei due è scivolato, portando con sé l’altro. Bernard Mahlknecht è morto, mentre il suo amico è ricoverato all’ospedale di Treviso in gravissime condizioni. «Quando si percorrono certi tracciati — chiarisce Selenati — bisogna mettere in conto che il rischio zero non esiste. Un dato rilevante è che gli incidenti in ferrata sono in aumento di circa il 10% rispetto al 2017. In contro-tendenza perché il numero di scalatori, negli ultimi anni, era diminuito». Sempre domenica è morta una 86enne di Longarone che con la figlia stava raggiungen­do a piedi la loro casera in località Le Buse a Podenzoi, a circa 900 metri di quota. L’anziana è scivolata finendo in una scarpata. È morta per un trauma cranico. «In alcuni casi è fatalità — dice Alex Barattin, delegato del Soccorso alpino per la seconda zona alpina Dolomiti bellunesi — ma non si può non avere le dotazioni tecniche minime necessarie. In questi giorni abbiamo soccorso delle persone che non avevano i ramponi ed erano nella neve. Prima di partire bisogna accertarsi del meteo ed essere bene equipaggia­ti anche se si imbocca un sentiero breve: cartina, telo termico, candela, accendino, acqua e frutta secca. La gente invece se ne dimentica, accende il cellulare e parte a testa bassa».

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L’emergenza Il Soccorso alpino durante un’operazione di salvataggi­o

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