Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Morto in barchino, indagato l’amico verifiche sulle cure al Fatebenefratelli
L’autopsia: Barbato è deceduto a un mese dall’incidente per una tromboembolia
VENEZIA Per ora il pm Stefano Buccini, titolare del fascicolo, ha iscritto sul registro degli indagati l’amico che era in barca con lui, sebbene non sia ancora chiaro chi dei due fosse alla guida. L’accusa formulata è quella di omicidio colposo e la vittima è Stefano Barbato, il 50enne sandolista morto una settimana fa all’Ospedale Civile di Venezia, dove era stato trasferito d’urgenza nel reparto dell’Unità coronarica in seguito a una violenta tromboembolia polmonare che lo aveva colpito nel corso del ricovero al Fatebenefratelli. Il decesso è arrivato quasi un mese dopo l’incidente, avvenuto a metà maggio mentre tornava da una cena, e ora le indagini dovranno anche verificare se ci siano state delle responsabilità dei medici del Fatebenefratelli, casa di cura di Venezia.
La stessa dinamica dello schianto in barca non è ancora chiara, tanto che nei prossimi giorni il pm Buccini nominerà un consulente tecnico anche per questo aspetto. Intanto ieri il dottor Antonello Cirnelli ha eseguito l’autopsia sul corpo di Barbato, affiancato dal collega medico legale Davide Roncali, nominato dall’indagato, difeso dall’avvocato Sara Rinaldin. Grazie anche alle cartelle cliniche, si è riusciti a ricostruire il decorso clinico della vittima. L’uomo, nel corso dell’incidente, ha sbattuto violentemente la testa, non si sa ancora se all’interno della barca oppure contro una briccola o un ponte. Aveva avuto immediatamente una forte emorragia cerebrale, che era stata operata e trattata dai medici del Civile, dopo di che era stato trasferito al Fatebenefratelli per la riabilitazione, praticamente senza mai risvegliarsi dallo stato di coma. Dopo quasi un mese a letto, nonostante tutte le comuni precauzioni in questi casi (in primis la somministrazione di eparina proprio per evitare che si formino dei trombi), Barbato è stato colpito da una fortissima tromboembolia e le cure non sono bastate per salvarlo.
Un esito che ha gettato nello sconforto i parenti della vittima, tanto che ieri, all’udienza di conferimento dell’incarico, si sono presentati anche la mamma e il fratello, pur decidendo di non nominare né un avvocato, né un proprio legale di fiducia. Ora però è probabile che vogliano sapere se ci sia stato qualche errore di diagnosi e terapia. La difesa dell’indagato avrà dunque due strade: la prima è dire che non fosse lui al timone, la seconda che la morte non sia conseguenza diretta dello schianto.