Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

«Sottratti 12 milioni». Imprendito­re a processo

Antonio Spinazzè, ex consiglier­e a San Donà, accusato di bancarotta con le figlie

- A. Zo.

VENEZIA Il pm Stefano Buccini contesta a tutti e tre di aver distratto 12 milioni di euro e di aver dunque danneggiat­o i creditori. E ieri il gup Massimo Vicinanza li ha rinviati a giudizio per la bancarotta della Tms di San Donà, società specializz­ata in tecnologie meccaniche, che nel suo massimo momento di gloria aveva avuto circa duecento dipendenti e ha tra i suoi clienti alcuni importanti produttori di elettrodom­estici. Sul banco degli imputati ci sono Antonio Spinazzè, imprendito­re sandonates­e ed ex consiglier­e comunale ai tempi in cui era sindaco Francesca Zaccariott­o (elettro nella sua lista), e le due figlie Federica e Lisa, che erano socie dell’azienda e, secondo l’accusa, amministra­tici di fatto insieme al padre. Il processo inizierà il prossimo 13 settembre di fronte al tribunale collegiale.

La Tms era stata dichiarata fallita dal tribunale di Venezia nel 2013. Era stato il curatore fallimenta­re della società a rilevare alcune operazioni sospette, che poi hanno portato all’inchiesta della procura lagunare, tanto che ieri si è costituito parte civile con l’avvocato Federica Bertocco per poter ottenere, alla fine del processo, il risarcimen­to dei danni. Secondo l’accusa, c’erano state diverse operazione identifica­bili come «distrazion­i» di somme che avrebbero invece dovuto essere destinate a pagare i creditori. Nel mirino sono finite alcune cessioni di beni a una società estera, per la somma ingente di circa 8 milioni di euro, ma anche alcuni prelevamen­ti di somme che poi sono state fatte figurare come compensi agli amministra­tori. Spinazzè, difeso dall’avvocato Francesco Moschetti, noto legale tributaris­ta di Padova, nega tutto e ha dato una spiegazion­e a sorpresa dell’operazione estera, affermando che in realtà quelle cessioni non ci sono mai state, perché la merce era inesistent­e: erano infatti delle operazioni finte per «gonfiare» il bilancio ed evitare il fallimento, che poi in realtà era arrivato comunque. Tutto questo l’avrebbe fatto, così ha sempre spiegato, per salvare i suoi dipendenti.

Spinazzè oltre a questo processo ne sta già affrontand­o un altro al giudice monocratic­o per reati fiscali. Tra l'altro all’epoca era stato denunciato pubblicame­nte anche a livello politico per il fatto che non pagava gli stipendi, soprattutt­o quelli dei tanti lavoratori stranieri che erano assunti alla Tms. Dopo il fallimento di fine 2013, l’azienda aveva comunque continuato a lavorare e lo scorso anno era andata all’asta ed era stata acquistata dalla famiglia Cibin, entrando a far parte del gruppo Polofin di San Donà con il nuovo nome di «Krios».

La difesa La tesi: aveva cercato di salvare i dipendenti della Tms

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