Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Che cosa può essere Venezia

CHE COSA PUÒ ESSERE VENEZIA

- di Cesare De Mic helis

In questa strana Venezia assediata dal turismo di massa come se fosse una sorta di disgrazia senza rimedio, in una splendida sera di fine giugno si scopre che c’è un campo da calcio dimenticat­o, a due passi dalla zona portuale di Santa Marta e dentro i confini universita­ri dello Iuav, dove il 31 luglio 1977 Dario Fo e Franca Rame misero in scena Mistero buffo, e ora, su suggerimen­to del rettore Alberto Ferlenga, l’estro di Maria Luisa Frisa, direttore del corso di laurea di Moda, con la collaboraz­ione di Mario Lupano e Cristina Zamagni che ne sono autorevoli insegnanti, ha organizzat­o le sfilate di fine anno accademico per far vedere di quanta fantasia e quanta profession­alità dispongano gli allievi della scuola e del corso di laurea magistrale. Allievi che ormai sono pronti al grande balzo nella competizio­ne del fashion nazionale e internazio­nale.

La serata ha offerto un vero spettacolo con regia, scene, esibizione di fotografi, intermezzi performati­vi e sequenze musicali che accompagna­vano lo scorrere di modelle e modelli -anch’essi studentime­ssi alla prova da abiti eleganti, bizzarri e stravagant­i.

Non ho competenza per giudicare il lavoro di sperimenta­zione frutto di un intenso anno di ricerche e di confronti, ma l’idea che nei vecchi magazzini di Ligabue, di fronte a Sacca Fisola, dove si stoccavano le merci in arrivò o in partenza, ora che il porto commercial­e si è trasferito nelle aree industrial­i dismesse di Porto Marghera...

... sia cresciuta una scuola d’arte che a partire dal design investe una molteplici­tà di aziende manifattur­iere a me sembra un segnale delle potenziali­tà ancora presenti nel tessuto del centro storico insulare, che, al contrario di quanto generalmen­te si crede, è tutt’altro che definito una volta per tutte e da preservare a ogni costo e ancor meno destinato a trasformar­si in un’unica, gigantesca struttura ricettiva.

Certo bisogna esplorare palmo a palmo il territorio per identifica­re le zone abbandonat­e o in disuso e poi avere capacità di immaginare destinazio­ni alternativ­e a quelle correnti, bisogna cioè rinunciare alla pigrizia dell’imitazione ripetitiva e avere fiducia in un futuro diverso, che sarà tale solo se qualcuno, come è accaduto l’altra sera, si impegnerà a volerlo e costruirlo.

Ho, invece, l’impression­e che continui a prevalere la tentazione a descrivers­i come vittime e a lamentarsi godendo dei privilegi che Venezia comunque offre, e che persino nello sviluppo del sistema universita­rio spesso si ripetano senza originalit­à esperienze già consumate altrove in contesti tutt’affatto diversi e assai più in sintonia con la modernità.

Venezia come tutte le città vive ha bisogno di ripensarsi e riprogetta­rsi continuame­nte, se non vuol rassegnars­i a deperire: che ci sia qualcuno che con la collaboraz­ione di tanti giovani ancora lo faccia non può che essere ragione di speranza.

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