Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Il lungo viaggio della storia di Davide Orecchio
«Mio padre la rivoluzione» (Minimum Fax) di Davide Orecchio è una rivisitazione disincantata degli ideali del Novecento. Fra speranze tramontate e ideali delusi
Nella cinquina del Premio Campiello di Confindustria Veneto, gli altri finalisti sono: Helena Janeczek «La ragazza con la Leica» (Guanda), Francesco Targhetta «Le vite potenziali» (Mondadori), Rosella Postorino «Le assaggiatrici» (Feltrinelli), Ermanno Cavazzoni «La galassia dei dementi» (La nave di Teseo)
Viviamo in un tempo inequivocabilmente postmoderno, nel quale la rivoluzione è affatto inattuale, eppure la sua memoria resiste inossidabile, al di là di qualsiasi prova o testimonianza, e gli scrittori rivisitano con paradossale nostalgia e rigorosa ricostruzione degli eventi le sue glorie e vergogne per rivendicare un’originaria vitalità peraltro offesa e perduta.
Davide Orecchio, uno dei cinque finalisti del Premio Campiello, ha messo insieme una dozzina di racconti che storici non sono, ma conservano intatta la fragranza del vissuto, magari attraverso testimoni che non potevano esserlo perché nel frattempo avevano compiuto il loro cammino terreno, e quindi sono «controfattuali», ma proprio per questo offrono un’immagine del passato al tempo stesso inedita e convincente: chi alla rivoluzione in vita ha creduto dal suo al di là prende atto del «tradimento» ideale e della sconfitta politica e non può che rimpiangere che tante ragionevoli speranze siano andate deluse e disperse.
Insomma Mio padre la rivoluzione (Minimum fax, pp. 316, € 18,00) sin dal titolo, che (Sabadin/ Vision) ambiguamente accosta la storia personale a quella generale, fa i conti con la rivoluzione come mito fondante del XX secolo senza nessuna voglia di trarre una conclusione o di esprimere un giudizio: i suoi eroi, visti i risultati, hanno poco di cui andar fieri, ma sono restii a ogni autocritica faccia piazza pulita dei «valori» che ne sono stati i fondamenti e che resistono come le stelle dell’orsa nel firmamento di ciascuno.
Il punto di partenza del libro è la giustapposizione tra il 1917 (l’ottobre di Pietrogrado) e il 1956 (la denuncia dei crimini stalinisti da parte di Kruscev) che nulla si nasconde di quanto intanto è avvenuto -Trotckij, la guerra, i kulaki, le purghe ecc.-, non senza tuttavia rimpiangere i sogni e i propositi della prima ora e quindi cercare una nuova cittadinanza in questo mondo frastornato e confuso: i testimoni a favore sono un redivivo Trotckij che non accetta la sconfitta, uno stralunato Rodari che insegue le orme del piccolo Lenin ormai centenario, il padre dell’autore durante il «lungo viaggio» attraverso il fascismo e anche oltre, il Calvino partigiano assieme a Kim sul sentiero dei nidi di ragno, Bob Dylan che canta l’avventurosa epopea dei rivoluzionari, tutti costretti a confermare le colpe mostruose che intanto sono emerse.
Orecchio domina le fonti storiche con competenza e maestria, tanto da poterle manipolare e reinventare, mescolando i riferimenti puntuali alle sue suggestive invenzioni in un continuum che frastorna, ma al tempo stesso disegna un panorama del secolo scorso inusuale e vivissimo, nel quale finiamo per riconoscere molte delle idee con le quali ci siamo confrontati e molti degli equivoci che ci hanno portato fuori strada.
In qualche caso Orecchio spregiudicatamente intreccia vicende diverse e distanti in una prospettiva che ne illumina aspetti costretti nell’ombra: basti per tutti il ritratto parallelo di Hitler e Stalin e il loro rapporto con la necessità della violenza «rivoluzionaria» per liquidare «i nemici di classe», tra i quali si confondono i borghesi e i kulaki, gli asociali, gli ebrei e gli omosessuali, e consentire l’affermarsi dell’uomo nuovo.
Le sorprese sono tante in questo libro, come la scoperta del resoconto del Viiaje del diplomatico messicano Sergio Pitol (1986) che attraversa la Russia in disarmo misurando l’ostinata resistenza della vecchia guardia sovietica e il progressivo affermarsi del nuovo in ogni aspetto della vita.
Orecchio suggerisce un bilancio di fine secolo che vorrebbe trasformarsi in un nuovo punto di partenza, chiudendo anche i conti con quel padre che al comunismo era giunto attraversando il fascismo e le peripezie della guerra e poi prendendo parte a quell’altra partigiana che raccontò in Febbre in Sicilia (1945) e lasciandosi coinvolgere nella militanza di partito fino a una liberatoria lettura di Trockij che lo spingerà a scelte meno ortodosse.