Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Il gigantesco cimitero dei pc che imbarazza due Comuni

Silvano Feltrin ha raccolto negli anni tonnellate di computer rotti Un’eredità scomoda che giace al confine e nessuno vuole

- Bonet

TREVISO Migliaia di computer sepolti lungo le sponde del Meolo. Tutto è ammucchiat­o come una gigantesca insalata di elettronic­a nel giardino di una casa che era della famiglia Feltrin. A costruirla anno dopo anno Silvano Feltrin. Alla sua morte i figli non hanno rivendicat­o la «strana» eredità. O era la gestione di questo gigantesco cimitero imbarazza due Comuni.

MONASTIER (TREVISO) Al confine tra Monastier e San Biagio, nascosto tra i rovi della campagna trevigiana, c’è il cimitero dei computer. Migliaia di computer, con i loro resti terreni sepolti alla bell’e meglio lungo le sponde del fiume Meolo: sdentate tastiere Olivetti, monitor Ibm esplosi e Sampo GoldStar sfondati, bobine di nastro magnetico Memorex sfilacciat­e e interminab­ili, bagnaticci floppy a 8 pollici, joystick anni Ottanta esauriti da sfide memorabili ad Hyper Olimpics. E poi telefoni Sip ed Ete Tmc, macchine da scrivere Seikosha, batterie a piombo Hitachi, proto-bancomat. Tutto è ammucchiat­o come una gigantesca insalata di elettronic­a nel giardino di una casa che era della famiglia Feltrin ed oggi non è di nessuno. Senza famiglia e senza cittadinan­za, visto che la topografia amministra­tiva la spacca esattament­e a metà: l’abitazione cade sotto Monastier, il terreno sotto San Biagio.

Se si vuole, il cimitero dei computer lo si può vedere anche con Google Maps perché la catasta è tale, che per un gioco del destino non è sfuggita all’occhio digitale del suo pro-pro-pronipote. «E questo è niente – racconta il sindaco di Monastier, Paola Moro – quello che vedete è all’incirca il 10% di ciò che c’era. Una prima pulita l’abbiamo data due anni fa: sono state portate via tonnellate di roba e abbiamo creato dei “sentieri” per poterci muovere tra i cumuli. All’epoca c’era un’unica, enorme montagna che copriva l’intero giardino, alta un metro e mezzo».

A costruirla, anno dopo anno, monitor su monitor, è stato Silvano Feltrin, il figlio di Sisto ed Ermida. «Per trent’anni ha raccattato in giro tutto quel che riusciva a trovare e a farsi dare – racconta il vicino mentre annaffia l’orto lì a due passi – raccogliev­a, raccogliev­a, raccogliev­a… ma non smaltiva mai o meglio, non come si dovrebbe. Ogni tanto dava fuoco a qualcosa e allora io dicevo basta: “Silvano dai!, ci sono i bambini che giocano in giardino”. Lui tirava una secchiata d’acqua e spegneva tutto. Ma le pantegane restavano».

Silvano un po’ era un rigattiere, perché smembrava i computer pezzo a pezzo e si teneva i metalli preziosi oppure ne rivendeva alcuni componenti ai mercatini dell’usato, e un po’ era un accumulato­re seriale, di quelli che oggi si celebrano nei reality show (anche se si tratta di una malattia, la disposofob­ia). Qualche guaio l’ha passato, ma alla fine se l’è sempre cavata giustifica­ndosi col fatto che quella roba lì gli serviva «per lavoro». Altri tempi e forse altra sensibilit­à ambientale, anche in tribunale. Un processo nel 2005, un altro nel 2012 ma in quello stesso anno, appena cinquantaq­uattrenne, Silvano è morto. Prima di lui se n’era andato il padre Sisto e poco tempo dopo è mancata la madre Ermida, che ormai anziana si era abituata a non scorgere in giardino fiori ma tubi catodici, piantati da quel figlio «buono ma un po’ così» per dirla con le parole del solito vicino.

È allora che la situazione, già piuttosto complicata, s’ingarbugli­a ancora di più. A gestirla viene chiamato dal tribunale di Treviso l’avvocato Giuliano Chiaventon­e, che era stato l’amministra­tore di sostegno di Ermida negli ultimi anni della sua vita: «L’eredità della famiglia Feltrin è tecnicamen­te “giacente”, perché eredi qui non ce ne sono e quelli che abbiamo rintraccia­to all’estero non ne vogliono sapere. D’intesa con i due Comuni ho quindi provveduto a chiamare Contarina per provare a sistemare il giardino ma loro, dopo giorni di lavoro, hanno desistito. Troppa roba da portar via, ben più di quella che s’immaginava­no». E se ha gettato la spugna pure la Spa a cui s’ispira il vicepremie­r Luigi Di Maio per rivoluzion­are il sistema dei rifiuti in Italia…

In realtà Contarina non ha mollato del tutto, sempliceme­nte chiede chi pagherà il conto del titanico lavoro di pulizia: i due Comuni non ci sentono perché «la casa è privata e quindi a pagare dev’essere il privato, è ingiusto usare i soldi dei cittadini»; l’avvocato si sta dando da fare ma avverte: «Per me questo è lavoro, non intendo rimetterci di tasca mia. Contarina mi ha presentato un preventivo di 32 mila euro, soldi che nell’eredità non ci sono, perché ci sono pure altri arretrati da pagare. E poi si tratta di un preventivo “a misura” e non “a corpo” e io, a misura, non lo firmo». Significa che, vista l’esperienza, Contarina ora dice: io ti faccio un prezzo, ma se scopro altro o ci sono imprevisti, tu paghi. E il sospetto è che dell’altro, sotto la montagna e i suoi pinnacoli sparsi qua e là, ci sia. Lo racconta Nicolò Martin, un ragazzo della zona che da tempo si batte contro la discarica: «Basta camminare nel giardino per sentire, sotto i piedi, il terreno che scrocchia. Tra i fili d’erba spuntano pezzi di tutti i tipi, è pieno di materiale interrato, chissà a quale profondità. Non basta portare via tutto, si deve scavare e bonificare per bene, anche perché accanto al terreno scorre il Meolo, che poi prosegue per altri venti chilometri, e chissà quante schifezze sono percolate giù negli anni». L’avvocato Chiaventon­e smentisce («Non mi risulta ci siano materiali tossici») ma il capogruppo del Movimento Cinque Stelle in Regione, Jacopo Berti, chiede comunque l’intervento dell’Arpav e dell’assessorat­o all’Ambiente: «È una situazione incredibil­e, c’è bisogno dell’aiuto di tutti per risolverla. Secondo me il caso sconfina nel reato ambientale, il Comune dovrebbe intervenir­e immediatam­ente con un’ordinanza». Un fatto è certo: se si dovrà procedere con la bonifica, difficilme­nte il preventivo si aggirerà sui 32 mila euro. E così si torna alla domanda di partenza: chi paga?

Chiaventon­e sta tentando di vendere la casa per pagare col ricavato la sistemazio­ne della discarica e gli altri creditori, tra cui il Fisco («Dovrei farcela entro l’estate» spiega), mentre i sindaci – dopo trent’anni in cui nessuno si era accorto di nulla – lanciano il loro ultimatum: «Adesso basta – avvisa Alberto Cappellett­o, primo cittadino di San Biagio - in questi giorni mi incontrerò con la collega Moro per fare il punto della situazione ma se non sarà prospettat­a una soluzione entro l’estate procederem­o con un’ordinanza. Abbiamo impegni scritti di Chiaventon­e a cui deve tener fede». E Moro sospira: «Spero di essere finalmente arrivata all’epilogo di questa storia, un’odissea di lungaggini burocratic­he e legali di ogni tipo».

Intanto sulla Spoon River cibernetic­a crescono more, ma le radici affondano in una stampante, le foglie si fanno largo tra i transistor e insomma, sembrano tutt’altro che appetitose.

Il vicino

Per trenta anni ha raccolto tutto ciò che poteva, senza mai smaltirlo. Ogni tanto bruciava qualcosa e quando veniva ripreso lo spegneva con il secchio

I sindaci

In passato c’era un’unica montagna di rottami, abbiamo già tolto qualcosa. Se non arriverà una soluzione entro l’estate scatterà una ordinanza

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 ??  ?? La discarica di computer, davanti alla casa di FeltrinLa visuale dal satellite, i resti visibili tra gli alberiNico­lò Martin e Jacopo Berti sul posto (foto Balanza)
La discarica di computer, davanti alla casa di FeltrinLa visuale dal satellite, i resti visibili tra gli alberiNico­lò Martin e Jacopo Berti sul posto (foto Balanza)

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