Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Ai domiciliari per furto, ma a casa fa caldo moldavo chiede e ottiene di tornare in cella
Vicenza, decide di finire di scontare la pena in carcere. È il secondo caso
VICENZA Chiede di poter tornare in cella, «al fresco», sostenendo che a casa faceva troppo caldo. Ha del paradossale quanto accaduto a Vicenza la notte scorsa. Victor Sirbu, questo il nome del protagonista della vicenda, un moldavo di ventinove anni residente in città, deve essere stato alquanto esasperato per lasciare l’abitazione dove era ristretto agli arresti domiciliari e presentarsi quando ancora faceva buio, attorno alle 3 di ieri, davanti al carcere.
Suonando il campanello, chiedendo al corpo di guardia della casa di reclusione San Pio X di Vicenza di poter rientrare, incapace evidentemente di resistere un minuto di più tra le mura di casa, dove era recluso da appena quindici giorni. E dove avrebbe dovuto rimanere ancora poco meno di un mese per finire di scontare la sua pena definitiva, per un tentato furto. E alla fine lo straniero è stato pure accontentato: il magistrato di sorveglianza di Verona, lo stesso che gli aveva concesso gli arresti domiciliari, ha disposto la revoca della misura per il carcere.
Il perché dell’assurda decisione — quella di tornare letteralmente «al fresco» — Sirbu lo ha spiegato agli agenti delle volanti. I quali, contattati dalla polizia penitenziaria per l’inaspettata «improvvisata» del detenuto, lo hanno accompagnato in questura per l’identificazione, senza comunque contestargli il reato di evasione dai domiciliari, visto che se il moldavo si è allontanato da casa lo ha fatto al solo scopo di presentarsi davanti al carcere per chiedere nuovamente «ospitalità».
Il ventinovenne avrebbe spiegato che a casa sua fa caldo, troppo caldo, e che le prescrizioni imposte, quelle cioè di trovarsi un lavoro (per questo motivo ha il permesso di uscire di casa per due ore al giorno) sono troppo rigide.
Ma potrebbe esserci anche altro che l’uomo non ha detto, almeno questa è la sensazione che avrebbe dato ai poliziotti. Forse uno stato di malessere nell’appartamento che condivide con la compagna, un malessere che potrebbe andare oltre l’assenza di un condizionatore a stemperare le insopportabili temperature estive. Difficile dirlo.
Di fatto ora Sirbu, difeso dall’avvocato Stefano Carrara, ha ottenuto quello che voleva: è rientrato in cella e lì rimarrà fino ai primi di agosto, quando finirà di scontare la sua pena.
E a quel punto sì che dovrà tornare a casa, senza scusanti, a meno che non trovi il modo per tornare dietro le sbarre, e ne esiste solo uno, cioè farsi arrestare.
Come ha fatto un tunisino trentenne in aprile. Anche lui era agli arresti domiciliari. Nelle due ore di libertà concesse dal giudice si era presentato ai carabinieri di Marghera, nel Veneziano, dicendo, insistendo: «Voglio tornare in carcere». Tutto perché non andava d’accordo con la convivente, una cinquantenne italiana, e perché aveva avuto pesanti scontri con il figlio di lei, un ventisettenne.
Ma la sua richiesta non poteva essere accolta: non era evaso e i carabinieri non avevano potuto arrestarlo. Così il tunisino ha visto bene di ripresentarsi in caserma nell’orario in cui doveva essere obbligatoriamente a casa. E allora sì ha ottenuto di tornare in cella: è finito in arresto, misura poi convalidata dal giudice.
In cella, in pochi metri magari da convivere con qualche altro detenuto, e non nel proprio comodo letto, nella propria casa, con tutti i comfort. Un compromesso per la sua serenità, per non trovarsi a litigare con la compagna e tantomeno con il figlio della donna.
Agli agenti Voglio tornare in prigione, nella mia abitazione fa caldo
Al giudice Troppo rigida la prescrizione di dover trovare un lavoro