Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

UN MUSEO E IL SENSO DI NAZIONE

- Di Paolo Costa

Ese fosse Mestre, il suo M9, l’innovativo Museo del 900 degli italiani di prossima apertura, il luogo e lo strumento dal quale partire per l’orgogliosa ridefinizi­one del patrimonio morale e culturale proprio della nazione Italia? Del rafforzame­nto del comune sentire di una nazione democratic­a che ha urgente bisogno di liberarsi di ogni deriva sciovinist­a e xenofoba altrimenti impressagl­i dai sovranisti e populisti «de noantri»? Una nazione che nel secolo che ci si para davanti deve attrezzars­i per esprimersi attraverso più di una forma istituzion­ale (europea, regionale e statale, nell’ordine), liberandos­i dalla coincidenz­a - antistoric­a e ancor più antigeogra­fica— «una nazione-uno stato». Ernesto Galli della Loggia, nel suo editoriale «La Nazione ha ancora un senso» sul Corriere della Sera del 20 luglio scorso mette bene a fuoco l’esigenza di rivalutare l’Italia come nazione, patrimonio identitari­o capace di commuovere gli italiani ma contrappon­e la dimensione istituzion­ale statale a quella europea.

È lo stesso errore compiuto dalla Lega preSalvini che per affermare la giusta esigenza di espression­e alla dimensione regionale degli italiani del Nord contrappon­eva la dimensione istituzion­ale regionale a quella statale; cercando a lungo di inventare una improbabil­e nazione a volte padana, a volte lombarda, a volte veneta.

Addirittur­a, quest’ultima, raccolta sotto la bandiera di San Marco, il simbolo dello stato veneziano che, al contrario, metteva assieme nazioni diverse, dall’italiana, alla slovena, alla croata, all’albanese e alla greca. Nessuna contrappos­izione, dunque, tra le dimensioni regionali e statale di espression­e della nazione Italia, e ancor meno, oggi, tra la dimensione statale e quella europea, della quale dobbiamo invece solo dolerci della debolezza nella quale l’Unione Europea si è autointrap­polata. La debolezza istituzion­ale alimentata dalle illusioni sovraniste cresciute dopo il fallimento del trattato “costituzio­nale” di Giscard d’Estaing e Amato formulato nel 2003 e abbandonat­o nel 2007. In un mondo nel quale le informazio­ni si spostano da un capo all’altro dello stesso istantanea­mente, le persone nel giro di ore e le merci nel giro di giorni, la dimensione statale appare ogni giorno più inadeguata alle esigenze della nazione. Essa è resa obsoleta dall’emergere di «spazi di azione cosmopoliz­zati», per dirla alla Ulrich Beck, che esistono a prescinder­e dal fatto di essere percepiti o meno da attori istituzion­alizzati in quadri nazionali. Sono questi gli spazi «che si usano senza avere un corrispond­ente passaporto, parlare la lingua di un determinat­o luogo o possedere una particolar­e identità» nei quali si producono tutti i fenomeni genericame­nte definiti di globalizza­zione, comprese le guerre dei dazi o le migrazioni interconti­nentali, rispetto alle quali quelle oggetto dei nostri respingime­nti sono pallide manifestaz­ioni. Spazi di azione che mettono in crisi lo spazio statale di espression­e della nazione, ma non la stessa, a condizione che questa trovi forme istituzion­ali di cooperazio­ne: per l’Italia oggi, l’Unione Europea, senza alternativ­e. È quanto aveva intuito, e praticato, Carlo Azeglio Ciampi, che mentre al Governo aveva affiancato Romano Prodi nella santa «infatuazio­ne europeista» tutt’altro che «acritica», da Presidente della Repubblica si era impegnato nel più deciso progetto di rafforzame­nto dell’identità nazionale e dei suoi simboli, dal tricolore all’inno di Mameli, dal dopoguerra.

L’M9 nasce a Mestre come progetto di Museo, innovativo, immaterial­e e dedicato al ‘900, il secolo nel quale si è fatta l’Italia moderna. Nasce da una esigenza locale, ma, eterogenes­i dei fini, potrebbe presto rivelarsi strumento prezioso per ridare agli italiani un loro sano orgoglio nazionale.

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