Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Fontana: aboliamo la legge sul razzismo È bufera. Sì leghista

Il governo lo stoppa. Carroccio veneto con lui

- Piva

VENEZIA «Aboliamo la le legge Mancino sul razzismo», ricatto morale contro gli italiani. Il ministro della Famiglia, il veronese e leghista Lorenzo Fontana, come per il no alle famiglie arcobaleno, riceve lo stop, stavolta meno convinto, di Matteo Salvini. Roma, però, è Roma: in Veneto, la Lega che conta la pensa come lui.

VERONA «Le famiglie arcobaleno non esistono», «No al riconoscim­ento dei figli da maternità surrogata», «Aboliamo la legge Mancino»: Lorenzo Fontana ha fino ad ora dato ragione a chi, come il giornale on line Il Post, lo ha definito il ministro «più a destra del governo Conte». Fontana, tuttavia, probabilme­nte non è d’accordo con questo incasellam­ento: da tempi non sospetti, da ben prima che i populisti arrivasser­o al potere in Italia e altrove, teorizza che destra e sinistra non esistono più, che la vera faglia ideologica del mondo che viviamo è quella tra movimenti identitari e globalisti, tra popolo e élite.

È una convinzion­e che Fontana matura nei suoi due mandati da europarlam­entare a Bruxelles dove, quando vi arriva nemmeno trentenne per la prima volta nel 2009 sulla spinta delle preferenze che gli fa accordare il suo mentore di allora, Flavio Tosi, è un semisconos­ciuto consiglier­e comunale di Verona e, prima, della circoscriz­ione terza, che comprende il quartiere popolare dove è cresciuto, il Saval. Leghista da sempre, sulle orme di un padre militante, ha un modesto impiego (factotum a disposizio­ne della direzione tecnica operativa) alla Fiera cittadina, di cui è tutt’ora dipendente in aspettativ­a. È cattolicis­simo, frequenta gli ambienti tradiziona­listi, è attivo nei Giovani Padani, è super tifoso dell’Hellas. Insomma, un leghista come tanti, almeno a Verona.

L’incontro che gli cambia la vita è quello con Matteo Salvini, suo compagno di scranno all’Europarlam­ento e, per qualche tempo, pure di casa nei sobborghi della capitale belga. L’oggi leader della Lega è, in quel momento, poco più che un esuberante consiglier­e comunale milanese, noto più che altro come speaker di Radio Padania. Fontana è il suo esatto opposto: ama stare dietro le quinte, non insegue la cronaca ma preferisce discutere di «alta politica», di grandi tendenze, di scenari globali. Divora libri su libri (già laureato in Scienze politiche, nel frattempo si iscrive anche a Storia della Civiltà cristiana all’Università Europea di Roma) e intrattien­e rapporti con il variegato mondo degli euroscetti­ci, dai più considerat­i pariah politici.

Bruxelles, che molti parlamenta­ri italiani ritengono un cimitero degli elefanti (magari il proprio), è per Fontana un grande laboratori­o politico. Capisce che la Lega ha davanti praterie se cambia pelle, non convergend­o al centro (come sostiene, a quel tempo, Tosi) ma radicalizz­andosi: l’alleanza con il Front National di Marine Le Pen, di cui Fontana è il regista, è il primo vero passo della metamorfos­i del Carroccio, da partito federalist­a e nordista, a sovranista e identitari­o, sulle orme dei vari Putin, Trump, Orbàn.

Quando Salvini diventa segretario della Lega, chiama immediatam­ente Fontana al suo fianco come vice. È ormai diventato un buon oratore da sguinzagli­are nei talk show in tv e in radio (è amico del conduttore de La Zanzara, Giuseppe Cruciani), ma anche un uomo di mondo: tra le altre cose, ha sposato una funzionari­a dell’Europarlam­ento napoletana (la celebrazio­ne religiosa svolta con rito tridentino, quella civile officiata da Tosi con Salvini testimone: era il 2013), ed è diventato padre di una bambina. Il calo demografic­o - e con esso il rischio di una «sostituzio­ne etnica» favorita dall’immigrazio­ne incontroll­ata - diventa una sua ossessione. Ci scriverà anche un pamphlet, «La culla vuota della civiltà», a quattro mani con l’ex presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi: a leggerlo vi si trova, di fatto, il suo programma da futuro ministro della Famiglia.

Ad oggi, il suo più grande successo politico ha un che di «freudiano»: l’uccisione (simbolica) del proprio padre politico, Flavio Tosi. Espulso dalla Lega nel 2015, Tosi ha la grande chance di rivincita nel 2017 quando, candidando la propria compagna Patrizia Bisinella, sfida il centrodest­ra ufficiale a trazione leghista in una battaglia all’ultimo voto alle elezioni comunali di Verona. Vince però Federico Sboarina, che Fontana impone alla coalizione anche a costo di scontentar­e i leghisti, facendo emergere il suo lato pragmatico, di grande tessitore e stratega. Ci vede giusto anche quando ipotizza, tra i primi, una alleanza tra Lega e Cinque Stelle. L’approdo al governo è una naturale conseguenz­a, così come lo sono le polemiche per le sue intemerate contro il «pensiero unico». Né improvvisa­tore, né improvvisa­to: definirlo sempliceme­nte «di estrema destra» pare davvero riduttivo.

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