Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Da factotum in Fiera a ministro: ascesa sovranista
Nel governo il veronese è già un caso ma il partito la pensa come lui
Matteo Salvini, 2 giugno VENEZIA 2018: «Fontana è libero di avere le sue idee» ma «non sono priorità e non sono nel contratto di governo». Così il vice premier e segretario della Lega aveva «raffreddato» l’uscita del «suo» ministro per la Famiglia, Lorenzo Fontana, secondo cui le famiglie arcobaleno «per la legge non esistono». Matteo Salvini, 3 agosto 2018, ieri: «Sono d’accordo con la proposta Fontana: alle idee si contrappongono altre idee, non le manette». Stavolta il «congelamento» della strenna agostana del ministro veronese, che in un post su Facebook ha (ri)proposto l’abolizione della legge Mancino, principale strumento del nostro ordinamento contro i crimini d’odio a sfondo razziale, arriva solo in seconda battuta: «Non è una priorità del governo», ha ripreso nel tardo pomeriggio il vice premier e segretario della Lega (che, del resto, nel 2014 aveva promosso una raccolta di firme per l’abolizione dello stesso testo di legge). Intanto erano arrivati gli stop dell’altro vice premier, Luigi Di Maio («La legge resti dov’è»), e del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte: «L’abrogazione della legge Mancino non è prevista nel contratto di governo e non è mai stata oggetto di alcuna discussione o confronto tra i membri del Governo».
Quello di capitan Matteo ha tutte le sembianze di un allineamento. Chiaro: in certi punti la camicia del governo gialloverde tira un (bel) po’, e bisogna stare attenti a non strappare. Roma, però, è Roma; dalle parti di Venezia la «ragion di Stato» pesa molto meno e si scopre piuttosto facilmente che il ministro Fontana, in regione, è tutt’altro che solo. Gian Antonio Da Re, segretario veneto dalle Lega, non ci gira tanto intorno: «Sono sulla linea di Fontana, è una legge che viene piegata da una certa parte. Se un italiano, un bianco, si picchia con un nero è razzismo, ma se un immigrato aggredisce un autista del tram è reato comune? Ma cos’è? Togliamo questa legge, perché è inutile. Ci sono le leggi per cui chi commette determinati reati viene punito, punto e basta». Chiaro, segretario, ma perché cancellare l’aggravante della motivazione razziale? Se io, che sono nero, vengo a picchiare lei perché rappresenta la Lega, non ci vede uno sfondo ulteriore? «Chi commette un reato venga punito per quel reato, senza vedere se è giallo, verde o bianco. Basta il codice penale e che i giudici applichino le leggi che ci sono».
Roberto Ciambetti, presidente del Consiglio regionale, è un altro del partito di Salvini e Da Re che sulla Mancino nutre più di qualche dubbio: «Per come è stata ed è applicata lascia più di qualche perplessità. In certi casi ha prodotto effetti esorbitanti rispetto alle intenzioni del legislatore. Penso che in alcuni punti un “tagliando” lo si possa fare, per evitare, o quanto meno limitare, certe distorsioni». Il ragionamento, inevitabile, ha come sfondo il caso Moncalieri: le condanne da mezzo mondo per l’«uovo razziale» scagliato contro l’atleta azzurra di origini nigeriane Daisy Osakue, con la successiva scoperta che uno dei lanciatori è figlio di un consigliere comunale del Pd a Vinovo, Torino. Per Lorenzo Fontana è la prova che il razzismo «sia diventato l’arma ideologica del globalisti... per puntare il dito contro il popolo italiano» e «far sentire la maggioranza dei cittadini in colpa per il voto espresso...». Massimo Bitonci, sottosegretario all’Economia del Carroccio, non arriva a tanto, però...: «I politici non devono permettersi di dire quello che vogliono, parole razziste, revisionismo o colpire qualcuno per il colore della pelle o la provenienza. Detto questo, in certi contesti, in certi ragionamenti aperti, magari con riferimenti storici, non si può evocare immediatamente la Mancino, come fa Fiano (Emanuele, deputato Pd, ndr). Una parte politica ne fa un uso strumentale».
Sta con Fontana anche Elena Donazzan: «Trovo incredibile che esista una legge che punisce i reati di qualcuno con un’aggravante di razzismo, perché strumentale», dice l’assessore regionale all’Istruzione eletta nelle liste di Forza Italia. Alessandra Moretti, consigliere veneto del Pd, invita il ministro a lavorare: «Il suo dicastero ha a che fare con famiglie, bambini, persone in difficoltà: Fontana si occupi di altro». Più che invitarlo, Jacopo Berti a lavorare ce lo manda: «Di Fontana - dice il consigliere regionale M5S - penso non perda un’occasione per sparare boia... fuori dal programma di governo. Si distingue per fumogeni più che per produttività». Perché fumogeni? «Perché, evidentemente, non ha capito quel che deve fare attraverso il suo ministero». In serata, ancora via social, la videofrenata di Lorenzo Fontana. In sintesi: «Il no alla Mancino non è una priorità di Governo, ma il tema merita riflessione».
Gian Antonio Da Re
E’ una legge che viene piegata da una certa parte. Ci sono le leggi per cui chi commette determinati reati viene punito, punto e basta
Massimo Bitonci
Il politico non può cadere in razzismi, revisionismi e simili, ma non è possibile neanche che Fiano possa evocare la Mancino per una parola