Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

La verità dall’autopsia Passaparol­a dei parenti per trovare testimoni

- Alberto Zorzi

VENEZIA Renzo Rossi, il cui corpo è stato trovato a bordo della «patanella» di cui era il proprietar­io, aveva una lunga ferita sul fianco. Natalino Gavagnin, che invece è caduto in acqua ed è stato trovato solo un paio d’ore dopo, una botta sulla testa. E’ da queste due lesioni che il pm Giovanni Zorzi cercherà di capire qualcosa di più sulla dinamica dell’incidente di venerdì notte in cui hanno perso la vita i due pescatori di Castello – 58 anni Rossi e 63 Gavagnin – travolti dal barchino pilotato da Ivan Bastasin, sostituto gondoliere di 27 anni. E’ proprio per rispondere a questi interrogat­ivi che il magistrato affiderà oggi l’autopsia al dottor Giovanni Cecchetto di Padova. Un esame che, più che la causa di morte in senso stretto, dovrà fare chiarezza su quale sia stata la parte della barca di Bastasin che ha colpito i due sfortunati pescatori.

Il barchino è letteralme­nte volato sopra la «patanella», che infatti è rimasta intatta e in galleggiam­ento. A colpire i due occupanti potrebbe essere stata l’elica o una parte dello scafo, ma a chiarirlo sarà proprio l’autopsia. Al fianco del dottor Cecchetto, nel corso dell’esame che sarà eseguito già oggi pomeriggio, ci saranno i medici legali Silvia Tambuscio, nominata dal difensore di Bastasin, l’avvocato Renato Alberini, e Antonello Cirnelli, che rappresent­erà i famigliari delle vittime, che si sono affidate agli avvocati Andrea Bodi e Agnese Gemin. Con la nomina dei consulenti diventerà formale l’iscrizione del conducente sul registro degli indagati con l’accusa di omicidio colposo.

«I famigliari di Rossi e Gavagnin vogliono che sia fatta giustizia», dice l’avvocato Bodi. Per aiutarli, vista la grande impression­e che ha destato in città questa tragedia, si sarebbe creata una vera e propria mobilitazi­one spontanea di amici e conoscenti per aiutare i famigliari a trovare testimoni. Il primo è stato Tobia Renato, l’ultimo ad aver visto i due pescatori prima della tragedia. Renato ha raccontato infatti di averli salutati verso le 23.15 e di essere tornato a casa perché aveva finito le esche. «Avevano la luce accesa come sempre», ha ribadito ieri agli uomini della Guardia Costiera, che l’hanno interrogat­o come persona informata sui fatti. Sono stati sentiti anche i parenti stretti delle vittime, proprio per avere la conferma delle loro abitudini quando andavano a pescare. «Erano due persone che conoscevan­o bene la laguna, così come la navigazion­e e i suoi pericoli - ribadisce Bodi - E’ poco verosimile pensare che se avevano la luce accesa un quarto d’ora prima poi l’abbiano spenta per rientrare verso casa». Anche perché pare confermato che, a differenza della versione circolata il primo giorno, secondo cui sarebbero stati travolti mentre erano fermi, gli stessi parenti sono convinti che fossero in movimento verso Punta Sabbioni, avendo finito di pescare vicino al Mose.

Proprio sulla luce e sulla velocità si giocherà l’inchiesta. «Che la luce fosse accesa un quarto d’ora prima è solo un indizio - replica l’avvocato Alberini - Quanto alla velocità, i ragazzi a bordo hanno detto tutti che non stavano correndo». «Quella è una barca fatta per la velocità - contrattac­ca l’avvocato Bodi - su Instagram c’erano i video di quanto correva». I legali presto daranno agli inquirenti una lista di altri nominativi pronti a riferire dettagli utili alle indagini.

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