Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Nascosti il sovraffollamento e la carenza di personale «Avvisati delle ispezioni»
Le distorsioni: «Gli stessi operatori spostati da un hub all’altro»
«Non ho trovato la mia donna, quella che mi dà informazioni, hai capito? Ho parlato direttamente con il vicario ma il vicario non ti dice niente, capito?».
È il 7 ottobre del 2015. E il patròn di Ecofficina, Simone Borile - un passato nella Dc poi consigliere provinciale per Forza Italia ai tempi di Vittorio Casarin - parlava così al telefono con il sindaco di Montagnana, Loredana Borghesan. Il pm Federica Baccaglini non ha dubbi: con «la mia donna», l’uomo che gestisce migliaia di profughi in Veneto intende proprio Tiziana Quintario, la funzionaria padovana che all’epoca divenne «figura di riferimento di Borile all’interno della prefettura».
Grazie alle sue «soffiate», la coop aveva tutto sotto controllo. «Il 26 agosto 2015 Quintario informava Gaetano Battocchio, presidente di Ecofficina, dell’imminente ispezione da parte dell’Arpav»; il 28 ottobre «informava Borile dell’esito dell’incontro effettuato dal prefetto Patrizia Impresa presso il ministero dell’Interno»; il 12 novembre «informava Sara Felpati (moglie di Borile e vice presidente della cooperativa,
ndr) di un’imminente ispezione concordando di eseguirla presso l’ostello di Battaglia Terme»; il 28 dicembre «inviava a Borile la relazione redatta dall’Usl 17 a seguito del sopralluogo presso il centro profughi di Bagnoli». E così via.
Quanto basta per far scattare nei confronti della funzionaria l’accusa di rivelazione di segreti d’ufficio. Lo stesso sospetto che incombe ora sul viceprefetto Pasquale Aversa, che avrebbe operato all’interno di un «disegno criminoso, violando i doveri o abusando della sua qualità, rivelava notizie che dovevano rimanere segrete o ne agevolava in qualsiasi modo la conoscenza ai responsabili di Ecofficina». Come il 12 luglio 2016, quando incaricava un altro funzionario di informare Borile dell’ispezione dell’Usl a Bagnoli programmata per il giorno successivo, o come il 29 settembre dello stesso anno quando diceva al patron della coop che «il sindaco di Bagnoli aveva chiesto all’Usl di effettuare un’ispezione presso il centro di accoglienza profughi, rinviata grazie alle autorità prefettizie al 24 ottobre, consentendo così a Ecofficina di adeguare i servizi igienici del centro in proporzione ai migranti ospitati».
Sapere in anteprima giorno e luogo delle ispezioni, permetteva alla coop di «far figurare un numero di operatori adeguato alle strutture della Prandina, di Bagnoli e di Cona». In che modo? «Il personale veniva spostato da un centro a un altro al fine di sopperire l’effettiva carenza. Veniva potenziato il servizio di pulizia dei centri, i servizi di integrazione venivano migliorati per il tempo strettamente necessario allo svolgimento del controllo. Dato che i centri non erano a norma dal punto di vista igienico-sanitario, si aggiungevano prefabbricati aventi funzione di docce e wc, oppure si dichiarava un numero di richiedenti asilo inferiore». Il tutto anche grazie all’aiuto di Aversa e Quintario che, tra l’estate del 2015 e l’aprile del 2017, «consentivano l’esecuzione dei controlli solo dopo che la cooperativa aveva provveduto a sanare la situazione».
Tra le ipotesi di reato, anche la truffa. Nel dicembre del 2015, infatti, Borile avrebbe escogitato «un sistema, pienamente condiviso approvato e sostenuto» dal vicario e dalla funzionaria prefettizia che, in occasione di un controllo dell’Usl all’interno dell’hub «Prandina» di Padova, «doveva far apparire che i migranti ospitati erano 40 invece della reale presenza di 77 richiedenti asilo, con l’ulteriore possibilità di incrementare la capienza massima fino a 92 posti letto». Lo scopo di questa macchinazione? «Permettere a Ecofficina di ospitare più persone di quanto consentito e pertanto ottenere una maggiore liquidazione dei compensi (...) mentre la prefettura aveva il vantaggio di poter accogliere in quel centro più richiedenti asilo di quelli ammessi dalla normativa». E che si nascondesse il sovraffollamento degli hub, lo dimostra anche l’ispezione del 14 dicembre 2015, nel corso della quale i vertici della coop dichiararono che gli ospiti erano 140 «anziché attestare la reale presenza di 273 richiedenti asilo».
Ricapitolando: strutture stracolme, con igiene precaria e scarso personale. Ma non solo. Per ottenere «un risparmio di spesa» Ecofficina non rispettava il capitolato d’appalto acquistando «beni di qualità inferiore, meno costosi e meno sicuri» rispetto a quelli previsti. Significativo l’esempio che emerge dalle carte dell’inchiesta: invece di essere ignifughe, le coperte potevano andare a fuoco.
Venissero confermate le accuse, l’indagine dimostrerebbe che per anni, in Veneto, milioni di euro di denaro pubblico sono serviti ad alimentare il business messo in piedi da una cooperativa che risparmiava sulla pelle dei profughi.
Borile Non ho trovato la mia donna, quella che mi dà le informazioni