Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Il Barbiere di Kunde Un cantante sul podio della Fenice
Il cantante alla Fenice dal 19 agosto in veste di direttore per il capolavoro di Rossini. «È uno dei miei teatri del cuore. So di che cosa ha bisogno chi canta: respirazione, pause, volume dell’orchestra. I miei ricordi della Laguna»
Gregory Kunde, belcantista fra i più apprezzati della scena lirica contemporanea, arriva al Teatro La Fenice di Venezia nella veste di direttore per Il barbiere di Siviglia di Rossini, la cui prima si terrà domenica 19 agosto alle 19 (www.teatrolafenice.it). Una carriera nuova ma anche un «vecchio amore», quello della direzione, che oggi il maestro americano mette al servizio dei cantanti e dell’orchestra.
Come nasce la sua carriera di direttore?
«Dirigere per me è una vera passione. Prima di intraprendere la carriera di cantante, avevo cominciato gli studi proprio come direttore di coro all’Illinois State University. Nel 1999 ho fondato un coro a Rochester (New York), presso la Eastman School of Music, e mi sono occupato di quello per 12 anni. Non si trattava però soltanto di un coro, ma di un coro da camera con orchestra, sull’esempio di John Eliot Gardiner. Poi nel 2011 ho ricevuto un’offerta per fare la Maria di Rohan di Donizetti al festival di Bergamo, e lì per la prima volta ho fatto il direttore d’orchestra in buca. Finché 18 mesi fa il maestro Ortombina non mi ha invitato a dirigere Il Barbiere di Siviglia di Rossini alla Fenice: considerata la mia esperienza nel belcanto, e specialmente con Rossini, è stato come realizzare un sogno».
Che effetto le fa tornare come direttore d’orchestra alla Fenice, dopo i suoi successi qui da cantante?
«Come cantante alla Fenice di Venezia ho fatto cose bellissime, tra cui L’africana di Meyerbeer e anche le mie prime verdiane di Otello e Trovatore. Tanti debutti, e in quegli anni c’è stata anche Norma:è come la mia famiglia, ho un grande rapporto con l’orche-
stra e con tutto lo staff, è senz’altro uno dei miei teatri del cuore. E poter fare il Barbiere qui, con questi archi e questi grandi cantanti, è magnifico». Nella direzione quali sono
i vantaggi di essere anche un cantante? «Sono un cantante di belcanto e so di cosa ha bisogno chi canta: respirazione, pause,
meno volume dell’orchestra. E questi sono già accorgimenti importanti. Ma anche lo stile: in questo repertorio sento di poter dire davvero la mia e mi aiuta molto conoscere la mentalità del cantante. Adesso vorrei trasferire quella conoscenza come direttore, dare questo apporto per aiutare sia i cantanti che l’orchestra, per respirare insieme e produrre una bella musica».
Ha lavorato con i più famosi direttori e cantanti di sempre: quali i nomi a cui è più legato?
«Negli ultimi 10 anni ci sono persone che mi hanno aiutato molto: il primo è Gianandrea Noseda che mi ha dato un’altra opportunità con i Vespri Siciliani al Regio di Torino: è stato l’inizio di una nuova carriera, senza di lui probabilmente avrei smesso. Poi c’è stato Antonio Pappano, con cui ho fatto un Peter Grimes di
Britten a Santa Cecilia che mi ha cambiato la vita. E tra i direttori non posso non citare Zubin Mehta. Poi ho avuto la fortuna di cantare con Pavarotti, Domingo, Mirella Freni, Joan Sutherland: quando ero
con loro mi venivano in mente i dischi che avevo ascoltato».