Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Due veneti e due velocità Quel confronto serrato con l’Emilia Romagna
Gli esempi citati sono: una grande realtà come Hera; la Fiera di Rimini, che ha aggregato Vicenza prima che lo facesse Verona; le iniziali aggregazioni delle Confindustrie emiliano-romagnole, che hanno poi dato la spinta a quella fra Padova e Treviso; la Tav.
Confinando la nostra attenzione alla prima ipotesi – l’innovazione – che cosa si può dire di due regioni che hanno dimensioni (popolazione e Pil totale) più o meno simili, e che – dopo la Lombardia sono i campioni del Made in Italy sui mercati mondiali? Parliamo della seconda e della terza regione esportatrice del Paese: oltre 61 miliardi di euro il Veneto e quasi 60 l’Emilia Romagna, ma quest’ultima prima regione italiana per export pro-capite. E parliamo di regioni che, anche dopo la crisi finanziaria del 2008, hanno conservato una robusta base industriale: il valore aggiunto della manifattura è ancora oggi, in tutt’e due le regioni, sul 25-26%, oltre il 30% sommandovi le costruzioni.
Dov’è, dunque, la vera differenza? Una ragionevole spiegazione risiede nella diversa specializzazione industriale dei due sistemi economici regionali; ossia, in ciò che le imprese producono e vendono sui mercati, in primis quelli internazionali. La regina della manifattura emiliano romagnola è l’industria meccanica in tutte le sue più sofisticate specializzazioni: si può dire lo stesso per quella veneta? I dati della serie Economie regionali della Banca d’Italia (giugno-luglio 2018) ci dicono che in Emilia Romagna le due specializzazioni che l’Istat chiama «Fabbricazione di computer, produzioni di elettronica e ottica, apparecchiature elettriche, macchinari e apparecchiature» e «Fabbricazione di mezzi di trasporto» valgono – rispettivamente – 10,3 e 2,8 miliardi di euro (i dati Bankitalia-Istat sono del 2015-2016); i due valori scendono - nel caso del Veneto - a 8,4 e 0,9 miliardi. In termini relativi, quella che possiamo identificare la meccanica avanzatameccatronica pesa per il 41% del valore aggiunto dell’industria manifatturiera in Emilia Romagna e scende al 29% in Veneto. Data questa struttura, la nostra regione sopravanza il Veneto anche nell’export generato da queste due stesse branche.
Ciò non vuol dire sottacere l’importanza delle altre specializzazioni industriali (basti pensare all’alimentare e alla moda); ma negli anni di Industria 4.0 una maggior importanza di tutto ciò che riguarda direttamente il connubio fra mondo delle macchine e mondo digitale pone un sistema in una posizione di vantaggio relativo. E spinge verso un’incessante attività di ricerca e sviluppo, innovazione tecnologica e formazione del capitale umano, dove imprese dalle spalle più larghe sono indispensabili.
Non per caso, la meccanica avanzata meccatronica ha rappresentato e sta tuttora rappresentando, lungo la Via Emilia – un asse che ha conservato l’importanza strategica che già aveva in epoca romana, come dimostra una recente ricerca dell’Università di Copenaghen - il terreno d’elezione per lo sviluppo di tre fenomeni. Primo, la crescita di una nuova élite di grandi imprese, che con fatturati nell’ordine del miliardo di euro, e anche del miliardo e mezzo, stanno a grandi passi avvicinandosi alla dimensione delle multinazionali (da 3 miliardi in su). Secondo, un consistente flusso di investimenti diretti esteri sia in entrata dai Principali paesi industriali, a cominciare dalla Germania – sia in uscita, realizzati un po’ dappertutto in Europa, e oltre. Terzo, la nascita e il rafforzamento di filiere, che consentono a molte Pmi di lavorare a stretto contatto con i leader di mercato. I tre fenomeni sono fra loro collegati e si rafforzano a vicenda, contribuendo a realizzare in regione sia un’ampia diffusione del progresso tecnologico, sia una spiccata attitudine all’internazionalizzazione.