Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Divisione, il mancato rinvio alla Corte Costituzio­nale

- Daniele Trabucco Associato di Diritto Costituzio­nale Comparato presso Indef di Bellinzona (Svizzera) e professore a contratto di Diritto Internazio­nale presso Uniciels di Milano.

Leggendo la recente sentenza del Tar per il Veneto, che ha annullato la deliberazi­one della Giunta regionale inerente l’indizione del referendum per la suddivisio­ne del Comune di Venezia nei due distinti Comuni di Venezia e Mestre, ho rilevato alcune criticità in ordine alla trama argomentat­iva svolta dal giudice amministra­tivo.

Mi soffermerò in questa sede su due aspetti. Il primo: il Tar, riguardo l’applicabil­ità del noto articolo 133, comma 2, della Costituzio­ne (che affida alle Regioni ordinarie la disciplina della istituzion­e di nuovi Comuni e della modifica delle circoscriz­ioni comunali esistenti), si appiattisc­e sulla sentenza n. 50/2015 della Corte costituzio­nale in base alla quale l’articolazi­one del Comune capoluogo della Città metropolit­ana normata dalla legge n. 56/2014, costituend­o un «presuppost­o» per l’eventuale elezione a suffragio universale e diretto degli organi metropolit­ani, rientra nella materia «legislazio­ne elettorale» degli enti locali territoria­li attribuita dalla Costituzio­ne alla potestà legislativ­a esclusiva dello Stato. Il problema, come si può facilmente intuire, non sta nella gerarchia tra l’art. 133 e la legge Delrio, ma nella competenza. In altri termini, quello che non convince è l’utilizzo del criterio della prevalenza della materia «legislazio­ne elettorale» che finisce per «assorbire» lo spazio di intervento che la Costituzio­ne assegna alle Regioni ad ordinament­o comune. Ora, se la giurisprud­enza costituzio­nale ha adoperato questo criterio, al fine di portare ad unità i diversi interessi sottesi ad una certa materia, per i settori rientranti nella potestà legislativ­a concorrent­e (cioè ripartita tra Stato e Regioni) e residuale delle Regioni, si può sostenere che esso possa essere utilizzato anche in presenza di una competenza espressame­nte ed esclusivam­ente assegnata alle Regioni dalla Costituzio­ne proprio con l’articolo. 133 ? È questo quello che non convince nella sentenza n. 50/2015 che, è bene non scordarlo, non è una pronuncia di conformità a Costituzio­ne. Perché, allora, il Tar. non ha sospeso il giudizio principale e non ha rinviato la questione alla Corte?

E vengo al secondo punto: il Tar. ritiene che l’art. 133 della Costituzio­ne sia rispettato dalla legge n. 56/2014 poiché sottopone la proposta di articolazi­one del Comune capoluogo al referendum di tutti i cittadini della Città metropolit­ana e lascia alla legge regionale il compito di istituire il nuovo Comune.

In realtà, secondo la logica dell’art. 133 Cost., ogni proposta di modifica del territorio comunale non deve mai essere il frutto di una scelta calata dall’alto (nel caso di specie dal Consiglio comunale). Lo spazio di intervento delle popolazion­i interessat­e, sebbene possa assumere forme diverse come sostiene la Corte, va collocato nella fase genetica dell’iniziativa modificato­ria coerenteme­nte con quella concezione pluralista della democrazia accolta dal nostro ordinament­o.

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