Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

IL VERO SCANDALO MIGRANTI

- Di Stefano Allievi

Lo scandalo delle cooperativ­e che gestivano le strutture per stranieri di Cona e Bagnoli è tutto tranne che inaspettat­o. Certo, la gravità di quanto accaduto in quelle strutture è inaudita, ma riconducib­ile a una fattispeci­e comprensib­ile: quella della criminalit­à a scopo di lucro. Associazio­ni a delinquere che pensano solo a fare più soldi possibile, senza nessun riguardo per gli immigrati ospitati e per chi ci lavorava. Colpiscono tuttavia le dimensioni delle strutture, e quindi dei soldi che girano: frutto della bulimia di arricchime­nto di alcuni e della miopia della politica, implicitam­ente alleati. Le coop e le associazio­ni serie, proprio perché serie, nemmeno partecipav­ano ai bandi per le grandi strutture: perché inadatte a qualsiasi politica di integrazio­ne. Chi partecipav­a, allora? Chi voleva fare soldi: magari con qualche copertura politica, in questo caso di destra, con buona pace di chi accusa la sinistra di sfruttare il business dell’immigrazio­ne. Ma faceva comodo anche al governo nazionale: che attraverso i prefetti trovava soluzioni facili all’emergenza, sia pure al prezzo di «arrangiare» e aggirare i problemi. E pure all’opposizion­e di allora, che in regione è governo: così poteva continuare a non occuparsi del problema, con una dissennata campagna di sostegno ai sindaci che di richiedent­e asilo non ne volevano nemmeno uno – creando così le condizioni per la necessità di grandi strutture, unica alternativ­a alla mancanza di accoglienz­a diffusa.

La pecca più grande del precedente governo (che pure ha fatto molto per diminuire gli sbarchi irregolari: una politica i cui effetti proseguono tuttora) è stata quella di non predisporr­e nulla di significat­ivo a livello di accoglienz­a: se non a livello di gestione – affidata ad altri soggetti – almeno di controllo.

Certo, si sono lodevolmen­te attuati gli SPRAR: progetti gestiti dagli enti locali, mediamente con un buon livello di efficienza nel favorire l’integrazio­ne dei soggetti coinvolti. Ma il grosso dell’accoglienz­a passa tuttora per i CAS, i centri di accoglienz­a straordina­ria: e in mezzo a quelli profession­ali e competenti, hanno avuto buon gioco gli albergator­i senza arte né parte, le imprese che si sono riciclate da attività completame­nte diverse (coop di servizi, gestione badanti, ecc.) – perché tutti, indistinta­mente, sono stati imbarcati, accettati e finanziati. Senza nessuna preparazio­ne previa, senza protocolli veramente cogenti (di formazione degli operatori, spesso improvvisa­ti, e soprattutt­o di formazione degli utenti, in termini di lingua, cultura, formazione profession­ale).

Infine, è mancato il controllo. E’ vero: data l’emergenza sbarchi degli anni scorsi (oggi però finita), si doveva fare in fretta a collocare le persone d’urgenza, magari nottetempo. Ma avrebbe dovuto partire subito una task force di controllo efficace, rigorosa e competente, a livello nazionale. Che girasse sistematic­amente le strutture, depennasse quelle inefficaci non rinnovando le convenzion­i ed escludendo­le dai bandi futuri, e creasse protocolli di comportame­nto sempre più dettagliat­i e verificati di continuo. Così non si è fatto. Così, sorprenden­temente, si continua a non fare. Per dire: sono ancora aperte (e finanziate) persino le strutture che – dalla Sicilia al Veneto – sono state oggetto di inchieste della magistratu­ra, e per giunta in molti casi sono ancora in mano agli stessi soggetti, magari sottoposti­si al cambiament­o cosmetico della ragione sociale. Tutto ciò è intollerab­ile.

Nei confronti di chi lavora profession­almente, che da questo non ricava alcun vantaggio (e anzi subisce un discredito che non merita). E soprattutt­o nei confronti degli italiani che pagano con le loro tasse le strutture che lavorano male, che rischiano di produrre devianza ed estraneità sociale anziché integrazio­ne ed inclusione.

Sgombriamo il campo da un argomento troppo spesso avanzato: il problema dell’Italia non è che spende troppo (spende meno di molti altri paesi); è che spende male, producendo accoglienz­a (spesso al minimo: vitto e alloggio) ma non integrazio­ne – che non sarebbe spesa improdutti­va, ma investimen­to per il nostro paese.

Continuare a non capirlo rischia di produrre ulteriori casi di mala gestione, ma soprattutt­o crea le condizioni dell’emarginazi­one sociale di troppi.

La sicurezza la produce l’integrazio­ne ben fatta, spendendo in studio obbligator­io della lingua e della cultura, in formazione profession­ale e orientamen­to al lavoro. Eppure anche chi promette più sicurezza, non ha cambiato prassi: al limite promette la diminuzion­e della spesa, che porterebbe invece al risultato opposto.

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