Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Le immagini da toccare con la realtà virtuale
Rabbrividire con i piedi a mollo in uno scolo inquinato dalle fabbriche tessili a Dacca. Sobbalzare dopo l’esplosione in una casa minata dall’Isis a Fallujah, arricciando il naso per l’odore acre, con il rimbombo nelle orecchie e il pavimento che trema ancora. Contemplare il cielo color vaniglia dentro un dipinto, oppure lo spazio profondo; provare l’angoscia di venire inghiottiti dalle viscere della terra, per poi tornare alla luce.
Tutto senza muoversi dall’isola del Lazzaretto Vecchio: basta indossare un visore. Qui, a poche centinaia di metri di laguna dal Lido, il cinema virtuale ha dall’anno scorso la propria casa veneziana, che con l’edizione 2018 del Festival è stata ampliata, per ospitare lo stato dell’arte della tecnologia interattiva e immersiva. Quaranta i film presenti, distinti in base alla modalità di fruizione, dai 10 visibili seduti nel VR Theatre, ai 19 «stand-up», apprezzabili cioè in piedi, fino alle 19 installazioni – vere e proprie stanze per immergersi con tutti i sensi nel mondo virtuale. Insomma, una variazione di quantità, ma anche di qualità, vista la complessità tecnica delle esperienze più «coinvolgenti».
Due le installazioni di Oculus – azienda nel portafogli di Facebook -: la serie interattiva
Spheres porta gli spettatori alla scoperta dello spazio profondo, coniugando scienza ed arte; Home After War, in collaborazione con il Centro Internazionale di Sminamento Umanitario di Ginevra, permette di vivere in prima persona il dramma degli abitanti di Fallujah, che dopo la fine della guerra contro Isis convivono con le trappole esplosive rimaste nelle loro case. Le meraviglie del sottosuolo sono invece il fulcro di In the Cave del friulano Ivan Gergolet. La vista permette di apprezzare le immagini a 360 gradi, ma è solo il punto di partenza, assieme all’udito; durante i video entrano in gioco tutti i sensi, dall’olfatto al tatto.
C’è anche il gusto legato ai ricordi nel film Umami. Alcuni prodotti includono la performance di attori in carne ed ossa, come il metacinema horror di Horrifically Real Virtuality, che riflette sul rapporto tra reale e virtuale attraverso i personaggi di Ed Wood e Bela Lugosi. Tutte esperienze individuali? Niente affatto: ad esempio in VR_I, performance di danza virtuale, si entra in gruppo per interagire con danzatori immaginari.
Oltre ai visori si indossano sensori che riportano i movimenti nella realtà virtuale, dove ci si vede come Avatar (rappresentazioni grafiche del proprio corpo, come accade nel film di Spielberg Ready Player One). È in questa sezione che Francesco Carrozzini - figlio di Franca Sozzani, che l’anno scorso ha onorato la madre con un documentario – presenta: X Ray Fashion, un percorso multisensoriale – ci sono vento e calore, oltre ad acqua e cotone da calpestare - a piedi nudi che denuncia l’impatto ambientale e sociale dell’industria tessile, soprattutto in paesi che ospitano la produzione, come il Bangladesh. «È una critica al Fast Fashion, non al lusso delle maison o al nostro made in Italy – spiega il regista e fotografo di moda, che ha in cantiere il lungometraggio Il sole di mezzanotte – L’extra super capitalismo degli ultimi 20 anni ci ha tolto il gusto per le cose belle. Prendiamo capi che mettiamo una volta e poi buttiamo. È un business con cui abbiamo mangiato anche io e la mia famiglia, ma mi sembrava un tema in linea con il cambiamento della mia vita (si è sposato a luglio, ndr), sono tante le riflessioni che mi sono venute. Non ho abbandonato la moda, ma faccio più attenzione a selezionare». E poi conclude: «Da tempo volevo confrontarmi con la VR, è molto più difficile di quanto pensassi: bisogna osservare la realtà e ricrearla perché è come mettere il pubblico su un palco di teatro, da cui può guardare dove vuole; l’opposto del cinema tradizionale».