Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Amante chiusa 15 giorni in un cassone: arrestato
Verona, arrestato il datore di lavoro e amante della ragazza. Trovata e salvata dai giardinieri della A4
Una donna polacca di 44 anni è stata chiusa dal suo datore di lavoro, ed ex amante, in un cassone per la raccolta della frutta a Sommacampagna, per due settimane. Dopo la scoperta da parte dei giardinieri l’uomo, un bolzanino residente da anni nel Veronese, è stato arrestato con l’accusa di sequestro e tortura.
VERONA Un lamento proveniente dai filari di meli oltre il reticolato che separa il campo dall’autostrada A4, all’altezza di Sommacampagna, nel Veronese. Un rumore che martedì mattina ha superato il ronzio dei tagliaerba, richiamando la loro attenzione. Lì, tra le piante, non c’era anima viva ma i giardinieri impiegati nelle routinarie operazioni di sfalcio delle aree verdi a lato della Brescia-Padova erano sicuri di quel che avevano appena sentito.
E il loro sguardo, dopo qualche istante di attento ascolto, si è concentrato sulle casse di plastica verde accatastate in fondo a un filare. Qualcosa, all’interno di quel cubo largo e profondo non più di un metro e posizionato sotto tutti gli altri, si muoveva. Spaventati, gli operai hanno immediatamente lanciato l’allarme e i primi ad arrivare sul posto sono stati gli agenti della polizia stradale della sottosezione di Verona Sud, seguiti poi a ruota dai carabinieri della compagnia di Villafranca. Agenti e militari, dopo aver attraversato una stradina bianca che corre parallela all’autostrada, all’altezza di San Giorgio ai Salici, hanno raggiunto l’appezzamento e la catasta di cassoni sistemata sopra un rimorchio. All’interno, rannicchiata su se stessa e terrorizzata, c’era una donna. Immediatamente soccorsa dal personale di Verona Emergenza, nonostante il forte stato confusionale, ha iniziato a raccontare la sua incredibile storia.
Polacca, 44 anni e figli, da anni andava e veniva da Varsavia a Verona per lavorare nei campi dell’imprenditore altoatesino con il quale aveva avuto una relazione. Era stato il suo datore di lavoro a rinchiuderla lì dentro, lo scorso 14 agosto, al termine di un’accesa discussione avvenuta nell’abitazione dell’uomo. Un lenzuolo per coprirsi, bottiglie d’acqua ogni tanto e un po’ di cibo a cadenza regolare: due settimane senza mai uscire da quella prigione di plastica, esposta all’afa africana e agli acquazzoni che hanno interessato il Veronese negli ultimi giorni. Trasferita d’urgenza all’ospedale Magalini di Villafranca, risulterebbe ancora ricoverata in stato di choc.
Ma proprio mentre poliziotti e carabinieri, ancora increduli, le prestavano i primi soccorsi, ecco arrivare a bordo di un trattore il titolare dell’azienda agricola: T.R., bolzanino di 53 anni ma residente da anni nel Veronese. E, su disposizione del pm di turno Maria Beatrice Zanotti, è scattato all’istante l’arresto con le pesantissime accuse di sequestro di persona e tortura e il trasferimento in carcere a Montorio. Il racconto confuso e ancora tutto da verificare della vittima ha trovato però già le prime conferme perché, proprio come ha denunciato la donna, la sua borsetta con il suo cellulare, sono stati trovati a casa dell’arrestato. Assistito dall’avvocato Mirko Zambaldo, stamattina l’uomo comparirà di fronte al gip Livia Magri per la convalida dell’arresto e non è escluso che provi a fornire la sua versione dei fatti. Di certo dovrà chiarire anche le bugie raccontate ai carabinieri, che nei giorni scorsi lo avevano già sentito in merito alla sparizione della donna.
Erano stati i figli di lei, spaventati dal prolungato silenzio telefonico della madre, a denunciarne la scomparsa. E i militari si erano già presentati a casa del datore di lavoro per chiedere spiegazioni. Ma lui avrebbe finto di non saperne nulla, dicendosi sorpreso dell’allontanamento improvviso di quella dipendente. E nonostante le serrate ricerche, di lei non si era trovata traccia. Fino al provvidenziale intervento di quegli operai, martedì mattina.
Le indagini, però, proseguono per verificare ulteriori dettagli del racconto della polacca, a partire dal ruolo di uno dei collaboratori dell’imprenditore, che lo avrebbe aiutato a imprigionarla in quella cassa verde.
Inoltre, considerate le condizioni in cui è stata trovata, resta ancora da verificare con certezza quanto sia durato il sequestro.