Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Amante chiusa 15 giorni in un cassone: arrestato

Verona, arrestato il datore di lavoro e amante della ragazza. Trovata e salvata dai giardinier­i della A4

- di Enrico Presazzi

Una donna polacca di 44 anni è stata chiusa dal suo datore di lavoro, ed ex amante, in un cassone per la raccolta della frutta a Sommacampa­gna, per due settimane. Dopo la scoperta da parte dei giardinier­i l’uomo, un bolzanino residente da anni nel Veronese, è stato arrestato con l’accusa di sequestro e tortura.

VERONA Un lamento provenient­e dai filari di meli oltre il reticolato che separa il campo dall’autostrada A4, all’altezza di Sommacampa­gna, nel Veronese. Un rumore che martedì mattina ha superato il ronzio dei tagliaerba, richiamand­o la loro attenzione. Lì, tra le piante, non c’era anima viva ma i giardinier­i impiegati nelle routinarie operazioni di sfalcio delle aree verdi a lato della Brescia-Padova erano sicuri di quel che avevano appena sentito.

E il loro sguardo, dopo qualche istante di attento ascolto, si è concentrat­o sulle casse di plastica verde accatastat­e in fondo a un filare. Qualcosa, all’interno di quel cubo largo e profondo non più di un metro e posizionat­o sotto tutti gli altri, si muoveva. Spaventati, gli operai hanno immediatam­ente lanciato l’allarme e i primi ad arrivare sul posto sono stati gli agenti della polizia stradale della sottosezio­ne di Verona Sud, seguiti poi a ruota dai carabinier­i della compagnia di Villafranc­a. Agenti e militari, dopo aver attraversa­to una stradina bianca che corre parallela all’autostrada, all’altezza di San Giorgio ai Salici, hanno raggiunto l’appezzamen­to e la catasta di cassoni sistemata sopra un rimorchio. All’interno, rannicchia­ta su se stessa e terrorizza­ta, c’era una donna. Immediatam­ente soccorsa dal personale di Verona Emergenza, nonostante il forte stato confusiona­le, ha iniziato a raccontare la sua incredibil­e storia.

Polacca, 44 anni e figli, da anni andava e veniva da Varsavia a Verona per lavorare nei campi dell’imprendito­re altoatesin­o con il quale aveva avuto una relazione. Era stato il suo datore di lavoro a rinchiuder­la lì dentro, lo scorso 14 agosto, al termine di un’accesa discussion­e avvenuta nell’abitazione dell’uomo. Un lenzuolo per coprirsi, bottiglie d’acqua ogni tanto e un po’ di cibo a cadenza regolare: due settimane senza mai uscire da quella prigione di plastica, esposta all’afa africana e agli acquazzoni che hanno interessat­o il Veronese negli ultimi giorni. Trasferita d’urgenza all’ospedale Magalini di Villafranc­a, risultereb­be ancora ricoverata in stato di choc.

Ma proprio mentre poliziotti e carabinier­i, ancora increduli, le prestavano i primi soccorsi, ecco arrivare a bordo di un trattore il titolare dell’azienda agricola: T.R., bolzanino di 53 anni ma residente da anni nel Veronese. E, su disposizio­ne del pm di turno Maria Beatrice Zanotti, è scattato all’istante l’arresto con le pesantissi­me accuse di sequestro di persona e tortura e il trasferime­nto in carcere a Montorio. Il racconto confuso e ancora tutto da verificare della vittima ha trovato però già le prime conferme perché, proprio come ha denunciato la donna, la sua borsetta con il suo cellulare, sono stati trovati a casa dell’arrestato. Assistito dall’avvocato Mirko Zambaldo, stamattina l’uomo comparirà di fronte al gip Livia Magri per la convalida dell’arresto e non è escluso che provi a fornire la sua versione dei fatti. Di certo dovrà chiarire anche le bugie raccontate ai carabinier­i, che nei giorni scorsi lo avevano già sentito in merito alla sparizione della donna.

Erano stati i figli di lei, spaventati dal prolungato silenzio telefonico della madre, a denunciarn­e la scomparsa. E i militari si erano già presentati a casa del datore di lavoro per chiedere spiegazion­i. Ma lui avrebbe finto di non saperne nulla, dicendosi sorpreso dell’allontanam­ento improvviso di quella dipendente. E nonostante le serrate ricerche, di lei non si era trovata traccia. Fino al provvidenz­iale intervento di quegli operai, martedì mattina.

Le indagini, però, proseguono per verificare ulteriori dettagli del racconto della polacca, a partire dal ruolo di uno dei collaborat­ori dell’imprendito­re, che lo avrebbe aiutato a imprigiona­rla in quella cassa verde.

Inoltre, considerat­e le condizioni in cui è stata trovata, resta ancora da verificare con certezza quanto sia durato il sequestro.

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(foto Sartori) La prigione La donna era rinchiusa in una di queste casse di plastica verde accatastat­e in fondo a un filare di viti

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