Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Parenzo: «Il cinema che vince è quello distante dalle fiction»
Il produttore di «Suspiria»: «Il film non avrà vita facile fuori dalle sale. Ma è qualità»
Controcorrente lo è sempre stato. La sua storia parla per lui: sceneggiatore di un film di culto come Malizia di Salvatore Samperi nel 1973, editore, produttore televisivo e cinematografico capace di riportare Michele Santoro in onda quando nessuno voleva correre il rischio, un passato da assessore comunale con l’amico di una vita, Massimo Cacciari e da presidente del Casinò di Venezia (ma si dimise da entrambi), Sandro Parenzo, classe 1944, padovano trapiantato a Venezia ma cittadino di un mondo di film e libri, ieri ha assistito da Venezia, non dal Lido, al debutto alla Mostra del Cinema di Suspiria di Luca Guadagnino (remake del film di Dario Argento) che ha comprodotto (con Amazon) e che distribuirà con la Videa. Un film ambizioso, con un cast di stelle - da Tilda Swinton a Dakota Johnson - curatissimo e con diverse scene da sobbalzare sulla sedia.
Perché dovremmo andare al cinema a vedere il remake di «Suspiria»?
«Intanto direi che questo nuovo film non c’entra niente col vecchio, di cui peraltro come Videa abbiamo i diritti dopo averli acquistati dai fratelli Argento vent’anni fa. Sono prodotti diversissimi. È una sfida per i cinefili che nel ‘77 o negli anni videro l’originale, ma anche e forse soprattutto per i giovani, e sono tanti, che non l’hanno visto. Guadagnino vide il film quando aveva 14 anni. In questi trent’anni e passa (il regista ne ha 47, ndr) lha rielaborato un ricordo di Suspiria che non corrisponde all’originale. Quando poi l’ha rivisto si è ritrovato davanti un film completamente diverso. E questo capita spesso con i luoghi o le persone del nostro passato, di cui noi ci siamo costruito un ricordo personale, diverso dalla realtà. Insomma Luca si è tirato dietro un film che non c’era più. Ed è stato totalmente libero di lavorarci come ha voluto, si è preso moltissimo tempo per l’edizione».
Voi distribuirete anche il film di Lars von Trier, «The House that Jack built». Non esattamente due pellicole per famiglie.
«Se devo uscire in sala devo avere un film che però deve rinunciare alle piacionerie della tv. Entrambi non sono film che avranno vita facile al di fuori dei cinema, mentre il 99% dei film che vanno in sala oggi poi hanno il passaggio tv. Questo però determina la qualità. Il cinema è il cinema».
Com’è nata la collaborazione con Amazon?
«C’è un nuovo management alla Videa e abbiamo ricominciato a produrre. Loro avevano bisogno di un partner e ci siamo imbarcati. Devo dire che la legge sul cinema ha scatenato coproduzioni anche internazionali: è uno strumento positivo. Quello che mancano sono le storie: per quello ora vogliamo dotarci di una sorta di casa di vetro che elabora idee».
Perché non era al Lido ad accompagnare il film?
«Da qualche anno ho smesso di andare al Lido. Precisamente dal 2008. Come Videa distribuivamo The hurt locker di Kathryn Bigelow. L’allora direttore della Mostra, Müller, insistette per avere il film. Piacque alla giuria ma fu ignorato dal palmares dei leoni d’oro. Dopo pochi mesi vinse sei Oscar. Non doveva passare inosservato».
Sono passati dieci anni, magari qualcosa è cambiato.
«Mah... pur avendo un direttore della Mostra degno di questo nome come Barbera, non riesco più a tornarci. Ormai quando vieni alla Mostra senti parlare solo romano, i veneziani sono spariti: non mi pare c’entro più con Venezia. Secondo me il legame con la città si è perso da quando non c’è più l’arena di campo San Polo: lì c’era veramente una partecipazione, e tagliarla per 20mila euro non ha proprio senso. C’è un filo rosso tra il Lido e Roma che taglia fuori Venezia e penso sia un segno di disattenzione nei confronti della città in cui la Biennale è nata».
Ma la Mostra le piace? «L’arrivo di Barbera è stato fondamentale. È vero che c’è sempre qualche film coreano o albanese, ma è tornato il cinema».
I film albanesi e coreani non sono cinema?
«No».
L’arrivo di Barbera è stato fondamentale per la Mostra
Non vengo al Lido dal 2008, quando la Bigelow fu esclusa dai Leoni