Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
La banda era di 6 persone Ipotesi talpa
Le indagini puntano su un gruppo straniero. L’ipotesi della «talpa» interna: la teca era aperta
La banda era composta da sei persone provenienti da diversi paesi, tra cui Serbia e Croazia. E con tutta probabilità con una «talpa»: la teca era infatti aperta.
VENEZIA Astuti, sicuri di sé, organizzati. In una parola: professionisti. Per mettere a segno il furto di gioielli a Palazzo Ducale, nel gennaio scorso, hanno agito almeno sei persone. Due sono quelli che ci hanno messo, letteralmente, la faccia, quelli che sono entrati al Ducale, hanno visitato la mostra, rubato i gioielli e sono scappati lasciando che le telecamere li inquadrassero. Gli altri, invece, avrebbero agito nell’ombra, magari compiendo dei sopralluoghi nelle settimane precedenti. Una banda composta da più persone provenienti da diversi paesi, tra cui Serbia e Croazia. E con tutta probabilità con una «talpa»: la teca che conteneva i gioielli era aperta.
È questa una delle piste seguite dagli investigatori della squadra mobile e dello Sco che stanno lavorando per chiudere il cerchio su quello che è già stato più volte definito il furto del secolo a Venezia. Che «presto potrebbero arrivare delle risposte» lo ha anticipato martedì mattina il capo della polizia Franco Gabrielli durante l’inaugurazione della mostra «Frammenti di storia – l’Italia attraverso le impronte, le immagini e i sopralluoghi della polizia scientifica» allestita proprio a palazzo Ducale.
Qualche sala più in là, il 3 gennaio scorso erano stati rubati tre gioielli dell’esposizione «Tesori dei Moghul e dei Maharaja – La collezione Al Thani». Una spilla e un paio di orecchini di platino e pietre preziose, vere opere d’arte del gioielliere indiano Viren Bhagat. Il valore doganale del bottino era di circa 33mila euro ma a livello commerciale i preziosi possono valere anche alcuni milioni di euro.
Che fine abbiano fatto i gioielli non è ancora chiaro. Certo è che si è trattato di un furto ad opera di professionisti, il che fa pensare ad una banda ben organizzata che potrebbe aver commesso altri colpi simili in Italia e all’estero. Un elemento questo che, se confermato, potrebbe portare gli investigatori a configurarli come una vera e propria associazione a delinquere.
Quel giorno, un mercoledì mattina, due uomini erano entrati nel palazzo e avevano raggiunto la sala dello Scrutinio. Le telecamere di sorveglianza li avevano immortalati. Uno di loro indossava dei guanti simili a quelli che si utilizzano per non sporcarsi quando si fa benzina. Teneva una mano in tasca. Nel momento in cui gli altri visitatori si erano allontanati, il compli- ce gli aveva consegnato qualcosa. Una chiave, forse, o un passepartout per aprire la teca. Almeno, questa era la prima ipotesi della polizia. Ma non era stato nemmeno escluso che la teca fosse già stata aperta in precedenza, magari da un terzo complice, forse una «talpa», che aveva preparato tutto. Nel video si vedeva anche l’uomo con i guanti prendere i gioielli, infilarli in tasca e chiudere la teca prima di andarsene. La coppia aveva avuto tutto il tempo di scappare, visto che l’allarme era scattato con qualche secondo di ritardo. Un sistema all’avanguardia che, però, i ladri potrebbero essere riusciti ad eludere. Come? Forse con l’aiuto della stessa persona che potrebbe aver dato una mano con l’apertura della teca e con strumenti tecnologici. I due erano riusciti a confondersi tra la folla in piazza San Marco e a far perdere le loro tracce prima dell’arrivo della polizia.